Dalla raccolta differenziata dei rifiuti alla loro gestione, piuttosto problematica. È allarme per un pezzo importante della nostra economia – valore all’incirca l’1% del Pil – che vacilla tra dubbi e incertezze, con 12mila imprese (di cui 11mila attive nel recupero e smaltimento dei rifiuti, poco meno di un migliaio nello stoccaggio) preoccupate di poter continuare a svolgere un lavoro che è la spina dorsale del passaggio dall’economia lineare a quella circolare: il riciclo dei rifiuti.
Fare la differenziata
Pur essendo un’attività «a buoni livelli e in continua crescita in Italia», come sottolinea Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, le eccedenze non si sanno dove mettere, tra stop dell’importazione cinese di carta e plastica, crollo dei prezzi, polemiche col Governo per la cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste) e stallo delle autorizzazioni nuove o in scadenza. La filiera del riciclo, intanto, si allunga pericolosamente, con lo stoccaggio in forte aumento (+18%) a scapito del trattamento (-5%), e i rifiuti che, sballottati qua e là, viaggiano in camion da un centro di raccolta all’altro (+8% il dato della movimentazione) mentre scoppiano incendi sospetti, tra cui quello al Tmb, il centro di trattamento meccanico-biologico dei rifiuti urbani di Roma. Salgono così a 343 i roghi di varia origine censiti da Il Sole 24 ORE negli ultimi 4 anni: alcuni innescati dalla criminalità, altri dai comitati Nimby che non vogliono impianti vicino a casa, altri ancora, però, dalla “crisi dei rifiuti” che, non trovando sbocchi, finiscono per stazionare per troppo tempo nei capannoni eludendo la sorveglianza dell’uomo e prendendo fuoco con inneschi generati da surriscaldamento. E tutto questo mentre il cittadino, oggi più di ieri, davanti ai cassonetti tende a separare la carta dalla plastica e dall’organico: 55,5% di raccolta differenziata nel 2017, +3% in un anno, con una variazione che va da Treviso con l’87,8% di raccolta a Enna ferma all’11,3% (dati Ispra). E il riciclo dei rifiuti urbani cresce in quantità (+2%) toccando il 44% e avvicinandosi a quel 55% richiesto dall’Unione Europea entro il 2025. Procede dunque il cammino della differenziata, ma per il resto della filiera?
Vita nuova
Il 2019 si apre, se non nel caos, tra timori e incertezze per l’ambiente e per l’economia alleati. Se è vero, infatti, che il riciclo si conferma un’eccellenza italiana e che il 2017 mostra il “più” in gran parte delle numerose e articolate filiere, è altrettanto vero che altri nodi sono venuti al pettine. Ad aiutarci è la fotografia scattata da L’Italia del riciclo – nona edizione del rapporto realizzato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e da Fise Unicircular, l’associazione delle imprese dell’economia circolare – in cui l’effetto di questa recente frenata delle attività, nei numeri, nemmeno è registrato, ma le questioni ci sono già tutte. La prima questione è legata al blocco dell’end of waste (cessazione della qualifica di rifiuto) definito da Andrea Fluttero, presidente di Fise Unicircular, «una bomba contro il riciclo e l’economia circolare». Di che cosa stiamo parlando? Del fatto che a fine ciclo un rifiuto torna ad essere un prodotto (una materia prima seconda) e come tale si libera dal regime controllato per godere di nuova vita.
Un punto delicato che attiene ai criteri di definizione e ai controlli, ma non ancora regolato da una normativa chiara. L’industria è con il fiato sospeso dopo che l’emendamento “ammazzariciclo” – com’è stato chiamato –, che voleva accentrare tutto sotto le ali del Ministero dell’Ambiente, è stato inserito e poi tolto prima nel decreto Semplificazioni e poi nella Legge di Stabilità. In più c’è il tema caldo delle
autorizzazioni alle attività nuove o in scadenza delle imprese che ieri spettavano alle Regioni e, in virtù di una sentenza del Consiglio di Stato, sono tornate in discussione.
Una montagna di rifiuti I numeri intanto sono impressionanti. La montagna da scalare composta da rifiuti urbani e speciali provenienti da attività produttive pesa circa 175 milioni di tonnellate (+8% rispetto al 2012). E in prospettiva spaventa la crescita dell’e-commerce che – fa notare Fluttero – ci consegnerà «un futuro pieno di imballaggi e la richiesta di nuove tecnologie ed eco-progettazioni per ridurne gli scarti». E allora come fare per uscire dalle strozzature evidenti del sistema? 13 milioni di tonnellate, infatti, vengono movimentate esclusivamente per lo stoccaggio temporaneo senza subire alcun trattamento. E non sono poche. Colpisce l’aumento del 23% nel 2016, rispetto al 2012, dei rifiuti generati dalla lavorazione di altri rifiuti. Chi se ne occupa e quale mercato c’è davanti? «Non ci sono abbastanza impianti di trattamento, questo è il punto», reclamano i riciclatori sostenuti dagli esperti e da alcune associazioni ambientaliste, Legambiente in testa. Le frazioni raccolte separatamente non trovano adeguata collocazione ed ecco pronto, a rialzare la testa, il partito dei termovalorizzatori. Che passa sopra la transizione all’economia del rifiuto visto come una risorsa, voluta dalla UE con il Pacchetto sull’economia circolare in vigore dal 4 luglio 2018 e che i paesi dovranno recepire entro 2 anni, e invoca soluzioni diverse.
Problemi di gestione
Si diceva dei termovalorizzatori. In Italia sono 39 quelli attivi. Nomisma Energia (società di ricerca sull’energia e l’ambiente) li invoca per bruciare la plastica e la carta rimaste invendute in forni di moderna concezione «e ricavarne energia con tassi di inquinamento – dice il presidente Davide Tabarelli – ridotti al minimo e migliori ritorni economici». «Ne può servire qualcuno di più al Centro e al Sud, ma al Nord i termovalorizzatori sono già troppi», è la secca replica di Ronchi. «Il problema non è quello – sottolinea –. Il riciclo ormai è la forma largamente prevalente di gestione dei rifiuti in Italia ed è anche la più utile sotto il profilo ambientale e quella più redditizia» (cfr. L’intervista, p. 11). Insomma il fulcro della questione dei rifiuti si è spostato parecchio da quando la Cina ha detto stop all’import di plastica e carta riciclata. Il mercato italiano e quello europeo non sono ancora pronti e i prodotti, assieme ai rifiuti, ce li dobbiamo tenere in casa e gestire noi con tutti i problemi connessi. Per avere un’idea del conseguente crollo dei prezzi, la carta normale è precipitata da 100 a 25 euro a tonnellata, il cartone da 140 a 65 euro, la plastica da 400 a 100 euro quella trasparente, da 200 a 30 quella colorata.
Mal…trattati
E, come se non bastasse, si affronta un problema complicato che coinvolge Nord e Sud con guerre fra le Regioni e anche nel Governo ci sono visioni constrastanti. «Per avviare l’economia circolare occorre attrezzare tutto il paese per il riciclo e andare verso la semplificazione delle procedure», insiste Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. Ma la realtà è che a livello geografico le differenze sono abissali come mostrano bene le strade prese dai rifiuti. L’import è principalmente interno e va verso il Nord Italia: guida la classifica la Lombardia, con 11,7 milioni di tonnellate, seguita da Emilia (4,3), Veneto (4,2), Piemonte (3,1), Friuli-Venezia Giulia (2,8) e Toscana (2,4). L’export vede sempre la Lombardia in prima fila (5,4 milioni di tonnellate), seguita da Veneto (4), Emilia-Romagna (3,2), Lazio (3,8), Campania (3) e Piemonte (3). Per riassumere: si allungano itempi di viaggio (cfr. Cattivo viaggio sopra) e di gestione dei rifiuti, rallenta l’intera catena del riciclo e aumentano non solo i rischi ambientali, ma anche quelli economici e d’infiltrazione della criminalità, e la raccolta differenziata in questo quadro finisce per essere addirittura un problema. Perché, in attesa di un trattamento adeguato, il viaggio dell’immondizia lungo lo Stivale è lungo e tortuoso. Non sarà arrivato il momento di tutelare sul serio un nuovo settore produttivo, quello che ha il suo centro nel rifiuto come “bene di consumo”?
Cattivo viaggio
1,2 miliardi di km percorsi in un anno e all’estero finisce una quota minima. La lunga strada dei rifiuti che costa cara all’ambiente.
La notizia non è che i rifiuti, che vanno considerati merci in un’ottica di economia circolare, viaggiano, ma che lo fanno su tragitti sempre più lunghi con un impatto inevitabile sui gas serra dal momento che circolano su gomma e soltanto ¼ va su rotaia se diretto all’estero. Lo studio sulla movimentazione dei rifiuti, spiegato da Marco Botteri di Ecocerved (società di analisi e studi su informazione, formazione e ambiente di Unioncamere) alla presentazione romana, a dicembre scorso, del Rapporto L’Italia del riciclo 2018, mette a confronto i dati del 2016 con quelli del 2012 e fa vedere che su 193 milioni di tonnellate in viaggio 44 milioni si spostano per più di 100 Km (+17% ) e 14 milioni (il 7% del totale) superano i 300 Km. I chilometri percorsi in un anno salgono a 1,2 miliardi, equivalenti a circa 175mila volte l’intera rete autostradale del nostro paese! Oltre la metà del totale trasportato è costituito da inerti, cioè da scarti di costruzione e demolizione e da rifiuti derivanti dal trattamento di altri rifiuti (+23%). Quelli pericolosi rappresentano solo il 5% dell’insieme, ma salgono al 26% se ci focalizziamo su quelli esportati all’estero, il cui totale non supera tuttavia i 9 milioni contro i 184 milioni di tonnellate che rimangono nei confini nazionali, prevalentemente nella stessa macro-area di origine. L’86%, infatti, viene trasferito da un punto di partenza a uno di arrivo che si trova sempre o al Sud o al Centro o nelle Isole o nel Nord-Est o nel Nord-Ovest, e il 21% nell’ambito di uno stesso comune. Gli spostamenti tra macro-aree diverse sono meno del 10% del totale e riguardano soprattutto le direttrici da Centro-Sud a Nord (i flussi più consistenti vanno dalla Campania e dal Lazio alla Lombardia) e da Nord-Est a Nord-Ovest. Lo studio conferma il problema dell’allungamento della filiera della gestione: l’8% delle aziende si occupa, infatti, solo di stoccaggio e un numero crescente (32%) opera nel misto (stoccaggio più trattamento) per difficoltà ad avere le autorizzazioni al riciclo.
Riciclo di studio
Spunti di riflessione sull’economia circolare e sui rifiuti come merce da Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. (L'intervista a Edo Ronchi)
Il mercato è pronto ad accogliere i prodotti dell’economia circolare?
«C’è una certa predisposizione del consumatore ma è contraddittoria: per alcuni il prodotto riciclato rimane un prodotto più scadente. I tessili, ad esempio, che da sempre sono dei grandi riciclatori, tendono a non dire che in un vestito c’è una quota di stracci nel timore che ciò spaventi il cliente. Invece bisogna far passare il messaggio che si possono fare prodotti di altissima qualità, nel tessile, e non solo, e che questo fa bene all’ambiente. Dobbiamo impegnarci a sviluppare il mercato delle materie prime seconde e dei beni riciclati».
C’è davvero bisogno di nuovi impianti di riciclaggio?
«Un po’ di nuovi impianti servono. Bisogna vedere filiera per filiera. In alcune non è possibile: ad esempio non si posEdo Ronchi. sono fare più vetrerie, o ce le hai o non ce le hai. E nemmeno è pensabile avere una cartiera in ogni provincia o per l’acciaio una fonderia. Per l’organico e per gli inerti, invece, si possono fare senza dubbio più impianti di riciclaggio».
Sarebbero utili anche nuovi termovalorizzatori?
«Può servire qualche impianto al Centro e al Sud, ma al Nord ce ne sono già troppi. Il problema non è quello dell’incenerimento come qualcuno vuole far credere. Abbiamo 175 milioni di tonnellate di rifiuti e il recupero energetico è quasi marginale. Il riciclo, ormai, è la forma largamente prevalente di gestione dei rifiuti in Italia ed è anche la più utile per l’ambiente e quella con maggiore redditività economica perché crea impresa, attività, tecnologia e occupati. Una parte residuale di rifiuti oggi non riciclabile o la si brucia o la si manda in discarica. Ma è la coda, non la soluzione del problema. Un incenerimento di massa sarebbe un danno».
E infine gli incendi. Che origine hanno?
«Alcuni sono dolosi, altri no. In genere si tratta di rifiuti plastici sporchi di organico. Quando non vengono mossi, fermentano producendo gas che, in determinate miscele, si possono anche accendere da soli. Infatti alcuni gestori di impianti hanno personale 24 ore su 24 che appena vede il fumo interviene. Il problema, quando rallenta il ciclo del riciclo, sta nella durata degli stoccaggi e nella sorveglianza».
Guida ispiratrice
Buone pratiche quotidiane che fanno risparmiare denaro aiutando l’ambiente? Ecco una breve guida ecologica.
• Ridurre i rifiuti imparando a scegliere prodotti più leggeri.
• Fare la raccolta differenziata come richiesto dal proprio gestore di servizi ambientali.
• Bere l’acqua del rubinetto.
• Portarsi la borsa della spesa da casa.
• Saper leggere le etichette.
• Fare la spesa in modo ragionato e razionalizzando i viaggi.
• Scegliere il prodotto alimentare più vicino e di stagione.
• Collocare secondo il giusto criterio i prodotti nel frigorifero e limitarne le aperture.
• Per risparmiare energia controllare i consumi nascosti (la spia dello stand-by) e monitorare gli apparecchi più energivori.
• Oltre a una lettura attenta delle bollette, utile un misuratore di consumo elettrico o di energia, un piccolo dispositivo da applicare direttamente alla presa che registra il consumo dell’apparecchio cui è collegato.
• Utilizzare lavatrici a pieno carico.
• Non superare i 20 gradi in casa nei mesi invernali: ogni grado in meno consente un risparmio di circa il 7% sulle spese di riscaldamento.
• Sapersi muovere bene, usando le gambe e non l’ascensore, più mezzi pubblici, e facendo visita a un amico almeno due volte alla settimana, a piedi o in bici… sempreché non abiti troppo distante.
Fonte: Guida all’ecologia quotidiana, progetto di Unicoop Firenze e Legambiente con disegni di Makkox. Edita da Giunti, disponibile anche on line su www.ecologiaquotidiana.it