Pranzo fuori

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4 Luglio 2022
Tutto ciò che si deve chiedere a un contenitore per il nostro cibo

Articolo pubblicato su NuovoConsumo del mese di luglio 2022

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Una volta, soprattutto in Lombardia, la chiamavano “schiscetta”, in Piemonte “barachin”. E via via che cambiavamo regione il dialetto la identificava con un termine differente. Oggi, da Nord a Sud della Penisola preferiamo il più internazionale lunch box, ma la sostanza è sempre la stessa: un contenitore in cui portare il proprio pranzo fuori, anche al lavoro.

Forma e contenuto
Una consuetudine sempre più frequente tra gli italiani, tanto per ragioni salutistiche che per ovvie considerazioni economiche.

A dare il là al ritorno in grande spolvero del pranzo portato da casa, come è facilmente intuibile, è stata la pandemia. Locali chiusi e difficoltà nel pranzare fuori, hanno fatto riscoprire agli italiani la preparazione casalinga per il pranzo di lavoro.

Abitudine questa che non si è persa del tutto neppure col ritorno alle aperture dei locali pubblici. Qualunque sia il menu, lo strumento principe è il contenitore, da scegliere quasi con la stessa attenzione con la quale selezionate gli ingredienti del pasto.

Leggerezza, resistenza, tenuta sono le caratteristiche che fanno la differenza tra un lunch box pronto per essere portato in tavola al momento giusto e un disastro memorabile, con zainetti o borse impregnati d’olio e alimenti immangiabili.

Un set di contenitori adatti, magari lavabili in lavastoviglie e pronti a essere riscaldati a microonde, dunque può essere una spesa da mettere in conto. Considerando che risulteranno molto utili anche per una giornata al mare o un picnic, facilmente impilati in una borsa termica con gli immancabili ghiaccioli.

La scelta più ecologica e quella di maggiore sicurezza alimentare, lo sappiamo, sarebbe il vetro, ma per il pranzo e lo spuntino fuori casa oltre al disagio di avere contenitori pesanti si aggiunge la fragilità a farci optare per materiali più resistenti.

Buoni pasti

Dunque plastica sia, meglio se ottenuta attraverso il riciclo di materiale che altrimenti sarebbe finito in discarica e a condizione che non possa contaminare con sostanze indesiderabili gli alimenti che ci conserviamo. Regola questa che vale anche per i contenitori “da frigo”. Gli esempi tratti dagli studi scientifici indipendenti e dalle denunce delle associazioni ambientaliste e di consumatori non sono mancati in questi anni: cessione di Pfas (i cosiddetti “inquinanti per sempre” trovati in molte plastiche), di bisfenolo A o ftalati (entrambi in grado di alterare il sistema endocrino nell’uomo) sono solo alcune delle presenze inquietanti che passano dai contenitori al cibo. Pericoli che dovrebbero convincerci a scegliere prodotti che forse possono costare qualche euro in più, ma che certamente rispondono a tutte le normative e sono soggetti a controlli continui. E gustarci così il cibo in tutta tranquillità. 

 

La prova del fuoco
Metodo fai da te per testare i contenitori adatti al microonde.

Come è naturale i lunch box sono destinati a ospitare cibo caldo. Oppure a finire nel microonde. In quest’ultimo caso tra i materiali plastici sono da preferire quelli in polipropilene (Pp), rigidi e duri, che resistono al calore e possono essere utilizzati per passare direttamente in forno gli alimenti conservati.
È, però, sempre meglio controllare quanto indicato dal produttore e, in caso di dubbio, conviene tentare qualche piccolo esperimento. Si può, per esempio, mettere in forno il contenitore parzialmente riempito d’acqua. Se dopo un minuto di cottura si è riscaldato solo il liquido e il recipiente è rimasto freddo, potete utilizzarlo senza timore.