In origine era un fiore: quando si insediarono in questa città, così la chiamarono i fenici (Zyz, nella loro lingua) per la forma che le davano i suoi due fiumi. Quasi 2800 anni dopo Palermo è un meraviglioso mix di palazzi normanni e liberty, graffiti rupestri e ville settecentesche, che racconta agli occhi una storia millenaria dove il passaggio di ogni popolo si inserisce con un’armonia bizzarra in un contesto architettonico di una ricchezza disarmante
Cultura inclusa
Inclusione sembra la parola d’ordine e l’inclusione è proprio uno dei concetti alla base del progetto di promozione cittadina che hanno convinto il Ministero ad assegnare a Palermo lo scettro di capitale della cultura 2018. Mentre il Comune tira un sospiro di sollievo per la sospensione dai vincoli del Patto di Stabilità che quello scettro regala, per un anno intero palermitani e turisti si godranno un calendario fitto di eventi. Sono 780 quelli previsti finora, ma si pensa addirittura di raddoppiarli entro la fine dell’anno: il milione di euro in arrivo dal Ministero può dare tanti frutti. Tra quelli più attesi ci sono Manifesta 12, una fra le principale biennali di arte contemporanea su scala mondiale, e i numerosi appuntamenti previsti al Teatro Massimo, da sempre un faro della cultura palermitana. E della cultura dell’inclusione nello specifico, se si pensa che è stato pioniere nel riconoscere ai propri dipendenti omosessuali il diritto di usufruire dei permessi matrimoniali per le unioni civili.
Capacità di trasformazione
Una sensibilità nei confronti della comunità LGBT che a Palermo non sorprende poi tanto: la prima sezione italiana dell’Arcigay fu fondata proprio qui, nel lontano 1980. Evidentemente i palermitani hanno una mentalità più aperta di quanto si pensi: che la stupenda piazza Pretoria sia anche nota come piazza della Vergogna per via della nudità delle sculture è solo un retaggio linguistico. Fa probabilmente parte dello stesso atteggiamento inclusivo la trasformazione della chiesa di San Paolino dei Giardinieri (già sconsacrata) in moschea, alla fine degli anni Novanta. “Di chiese ne abbiamo tante”, reagirono alla notizia diversi palermitani, già abituati a simili cambi di destinazione d’uso da realtà come Santa Maria dello Spasimo, chiesa settecentesca divenuta nel tempo teatro, lazzaretto, granaio, magazzino e adesso, tra le sue navate senza soffitto e gli alberi che sono cresciuti all’interno, location di mostre, concerti e spettacoli teatrali. Proprio quel tipo di eventi coi quali Palermo quest’anno tenterà di proiettarsi nel suo futuro