Istruzioni antispreco

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30 Novembre 2022
Fino a quando un prodotto si può mangiare e come possiamo evitare di sprecarlo senza che a rimetterci siano salute e gusto? Che differenza c’è tra termine minimo di conservazione e data di scadenza? Consigli e indicazioni degli esperti per mangiare sano, risparmiare e dare anche una mano all’ambiente. Allora stasera ti butto o no?

Articolo pubblicato su NuovoConsumo del mese di novembre 2022

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Niente data di scadenza su yogurt, latte fermentato e probiotici a marchio Coop: ora c’è la data entro la quale è preferibile consumarli. Cioè il termine minimo di conservazione (Tmc) che, una volta superata la data impressa sulla confezione, affida a occhi, naso e palato del consumatore la scelta di buttare o mangiare un prodotto. Una soglia indicativa, più che una prescrizione tassativa, che di solito si può superare di qualche giorno se gli alimenti sono ben conservati. Obiettivo: salvare dalla pattumiera milioni di vasetti e fiumi di yogurt che, pur essendo ancora buoni e sani, vengono gettati per aver superato, appunto, la data di scadenza. Insieme a tanti altri prodotti che potrebbero essere salvati, con un occhio al portafoglio e l’altro all’ambiente.

Da consumarsi preferibilmente entro il...
La mossa antispreco di Coop non è una fuga solitaria. Quest’estate anche alcune catene britanniche hanno fatto la stessa scelta per alcuni latticini e altri prodotti freschi, sull’onda di una crescente attenzione agli sprechi alimentari, a tutto vantaggio del risparmio delle famiglie e della tutela dell’ambiente. Perché sprecare il cibo significa anche sperperare risorse naturali e inquinare inutilmente, oltre che gettare il nostro denaro. La Commissione Europea stima, infatti, che fino al 10% degli 88 milioni di tonnellate di sprechi alimentari prodotti ogni anno nell’Unione Europea sia connesso proprio all’indicazione della data di scadenza sui prodotti alimentari. Un piccolo numero che ha grandi conseguenze. Così anche l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) sta promuovendo l’uso del Tmc, con apposite linee guida, e invita a fornire informazioni chiare e corrette sulla confezione per aiutare i consumatori. A sdoganare anche in Italia la possibilità di adottare la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro il...” sugli yogurt e i latti fermentati, come ha fatto Coop, è stato il Ministero della Salute, in risposta a un quesito avanzato alcuni mesi fa da Assolatte. Non ci sono obiezioni – ha fatto sapere la Direzione generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e della nutrizione –, fermo restando che i produttori devono stabilire con appositi studi la durata del prodotto e garantirne le caratteristiche fino al termine di consumo indicato.  Gli yogurt, i probiotici e i latti fermentati Coop, sia vegetali sia animali, da bere o al cucchiaio, si potranno mangiare anche 4 o 5 giorni dopo la data indicata, naturalmente con l’accortezza di guardarli, annusarli e assaggiarli prima, per assicurarsi che non abbiano subito deterioramenti evidenti

Questione di etichetta
Ma che differenza c’è tra termine minimo di conservazione e scadenza di un prodotto, e quanto possiamo sentirci tranquilli, per gusto e salute, mettendo in tavola un alimento che ha superato il “termine minimo”? Il termine minimo di conservazione, secondo il regolamento UE 1169/2011, è “la data fino alla quale un prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione”. La dicitura che troveremo in etichetta è dunque: “Da consumarsi preferibilmente entro il...” o “entro fine...”, a cui seguono data o anno. Consumando il prodotto poco dopo quella data, si rischia più che altro che il gusto e la consistenza non siano buoni come prima. Altra cosa è la scadenza vera e propria degli alimenti, sulla quale è bene essere scrupolosi: una volta passata questa data, infatti, non è più assicurata la salubrità. In questo caso, troveremo in etichetta la dicitura “da consumare entro”, seguita dalla data. Quando un alimento è scaduto, infatti, c’è il rischio di proliferazione di microrganismi, alcuni dei quali dannosi per l’uomo: è il caso, in particolare, di pesce crudo, carne e formaggi freschi. Dunque, successivamente alla data di scadenza un alimento è considerato a rischio e va tassativamente buttato. «Termine minimo di conservazione e data di scadenza rientrano tra le indicazioni obbligatorie che per legge devono essere riportate nell’etichetta degli alimenti – spiega Florinda Sgroi, specialista in materia dell’ufficio legale di Coop Italia –. In generale, sui prodotti freschi solitamente va inserita la data di scadenza, mentre sui prodotti da dispensa come biscotti, brioches, cereali, fette biscottate, pasta, riso e conserve, va inserito il termine minimo di conservazione». Ci sono anche alcuni prodotti “esentati”: l’indicazione del termine minimo di conservazione non è obbligatoria per quelli che si conservano molto poco o, al contrario, molto a lungo. Parliamo dell’ortofrutta fresca non sbucciata e tagliata, dei vini e delle bevande con almeno il 10% di alcol, di pane e prodotti da forno che di norma vanno in tavola entro un giorno dalla produzione, degli aceti, del sale da cucina, dello zucchero solido, dei confetti e delle gomme da masticare.

Come da indicazione
In alcuni casi è la stessa normativa a prevedere che sull’etichetta vada riportata proprio la data di scadenza (come nell’ortofrutta fresca confezionata in busta) e non il Tmc. «Solo per latte e uova esistono scadenze definite per legge – afferma Renata Pascarelli, direttrice qualità e sostenibilità di Coop Italia –, negli altri casi la responsabilità è del produttore, che conosce le materie prime e i processi di lavorazione con cui le trasforma. Oggi esistono nuovi trattamenti che permettono di prolungare la vita del prodotto e renderlo comunque sicuro: ad esempio, i succhi freschi FRUswing Coop hanno una durata di 60 giorni grazie a un processo innovativo ad alta pressione che garantisce l’eliminazione dei batteri. È un bell’esempio di tecnologia antispreco: abbatte i patogeni e allunga la vita del prodotto». Una volta a casa, tocca a noi consumatori provvedere a conservare i prodotti in modo adeguato, prima e dopo avere aperto la confezione, rispettando scrupolosamente le indicazioni in etichetta. Ma non è facile destreggiarsi per capire dopo quanti giorni dalla data del Tmc un alimento sia ancora commestibile. «Purtroppo, non ci sono standard universalmente validi: molto dipende dal tipo di prodotto, dalle sue modalità di produzione, da come viene trattato e conservato nella catena distributiva e dopo l’acquisto – dichiara Antonello Paparella, professore di microbiologia alimentare della facoltà di bioscienze e tecnologie agroalimentari e ambientali dell’Università di Teramo –. Per esempio, il latte fresco ha di solito una scadenza estremamente restrittiva. Per quello fresco alta qualità, che è il migliore dal punto di vista merceologico, si può superare la data di scadenza di qualche giorno, purché conservato adeguatamente anche a casa: cioè nei ripiani più freddi del frigo e non dove di solito lo mettono tutti, nello sportello, che ha una temperatura di 6 gradi invece dei 4 necessari. Mentre lo yogurt, che contiene una comunità microbica potente e selezionata, è abbastanza resistente a un abuso termico ragionevole. Non è solitamente un problema consumarlo entro 5-7 giorni dopo il Tmc».

 

Esame di stato
Esaminare gli alimenti, annusarli e assaggiarli prima di mangiarli è sempre buona norma, anche se non sono in scadenza. Ben diverso l’approccio ai prodotti scaduti o che sono rimasti aperti a lungo in frigorifero. «Dopo la scadenza, anche se un alimento appare normale non è detto che sia sicuro – continua Paparella –: può essere nocivo. Inoltre, se la confezione è aperta da molto tempo, è meglio non assaggiare alcuni alimenti, come i sottoli non contenenti aceto, perché bisogna fare i conti con la possibile formazione di tossina botulinica, il veleno più potente che si conosca in natura. La valutazione di assaggio si può fare, invece, per alimenti relativamente stabili come le acciughe, i biscotti, il pane, lo yogurt, una confettura acida». Alimenti per i quali, secondo l’esperto, è bene non superare mai la data impressa in etichetta sono quelli altamente deperibili come le uova, gli ortaggi e la frutta tagliati in busta. Per la pasta secca, i biscotti, le spezie, le salse, il tonno e la carne in scatola si può essere più flessibili: «Il tonno scaduto a dicembre, posso aprirlo, annusarlo e guardarlo prima di mangiarlo anche a marzo: è un prodotto sterile, al massimo si può ossidare e non avrà più un gusto gradevole, ma non è pericoloso anche se vado oltre di 1 o 2 mesi. A meno che non sia talmente ossidato da aver determinato la formazione di composti tossici. Ma il nostro naso ce lo segnalerà. Lo stesso per miele e confetture, che di solito hanno una scadenza di alcuni anni». Sono da buttare, invece, pasta, riso e legumi che hanno fatto le “farfalline”: gli insetti hanno banchettato nei sacchetti, alterato il prodotto e lasciato le loro deiezioni. Oltre al botulino, a svilupparsi in alcuni alimenti può essere un altro batterio, la listeria. I prodotti a rischio in questo caso sono soprattutto il salmone affumicato, gli affettati confezionati di carne e di pesce, i formaggi erborinati e quelli molli: anche questi vanno tenuti nei ripiani più freddi del frigo, dopo l’apertura vanno finiti nel giro di 3 giorni al massimo e, quando sono molto vicini alla scadenza, sarebbe meglio cuocerli prima di mangiarli. Altro cibo a rischio i würstel, che vanno sempre cotti per evitare problemi (un’indicazione riportata in etichetta, ma che in Italia non tutti rispettano).

Al freddo e al gelo
Un potente alleato nella lotta allo spreco di cibo in casa può essere il congelatore, con qualche accortezza. Oltre a preservare i prodotti surgelati in contenitori termici nel trasporto dal negozio a casa, per non interrompere la cosiddetta catena del freddo, è bene fare attenzione a cosa accade nei meandri del freezer: «È raccomandabile non superare le date indicate anche sui surgelati. Stessa cosa per alimenti congelati a livello domestico, per i quali non c’è un’indicazione univoca sulla conservabilità. Teniamo conto che più un prodotto è grasso, meno si può estendere la sua vita utile, perché i grassi si ossidano anche alla temperatura di congelamento. Se congelo a casa un branzino, che è un pesce magro, si manterrà anche per 9-12 mesi. Il salmone, che è un pesce grasso, no. La pancetta, il lardo o il burro ancora meno: 3 mesi al massimo, che possono arrivare fino a 6 se il congelatore è molto efficiente e se l’alimento è stato congelato sottovuoto in modo da creare condizioni meno favorevoli all’ossidazione ». Una buona strategia per allungare la vita dei prodotti vicini alla scadenza può essere quella di cuocerli e congelare il piatto cotto, perché con la cottura si elimina buona parte dei problemi microbiologici e il congelamento blocca la proliferazione dei batteri. «Invece non bisogna congelare i prodotti vicini alla scadenza senza cuocerli: quando andremo a scongelarli, la superficie esterna raggiungerà per prima la temperatura ambientale e potrebbe consentire la moltiplicazione di microrganismi patogeni e la formazione di tossine, anche resistenti al calore», raccomanda il professore.

 

Il bene più grande
I soci lo sanno: in Unicoop Tirreno il cibo va tutt’altro che sprecato. Con l’iniziativa di solidarietà Buon Fine sono stati donati da 80 negozi prodotti in perfette condizioni organolettiche e nutrizionali, ma non vendibili per motivi commerciali, alle associazioni benefiche dei vari territori dove opera la Cooperativa, solo nel 2021, per un valore di 1 milione e 750mila euro. Cioè 350mila pasti che significano molto per chi il cibo non può permettersi di sprecarlo.