Nel mondo 379 milioni in un anno hanno subito la violenza del partner – e molte di più nelle zone di guerra –, 137 quelle uccise ogni giorno; in Italia 1 donna su 3, tra i 16 e i 70 anni, ha patito nel corso della vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Numeri che raccontano di diritti umani violati, di una piaga sociale, non solo una brutta faccenda privata. E, per limitarci al dramma di casa nostra, nonostante l’impegno dei centri antiviolenza, la crescita delle denunce da parte delle donne violate e qualche passo avanti della politica – dal Codice Rosso alla legge che riconosce tutele ai figli non autosufficienti di madri uccise –, la strada di questa battaglia di civiltà è ancora tutta in salita. Anche solo per smettere di puntare il dito accusatore contro le vittime.
Sono milioni nel mondo. Bambine, ragazze e donne vittime di uomini brutali. Viene definita violenza di genere perché «quest’espressione racchiude i tanti tipi di violenza contro le donne che, a livello globale, sono offese nei loro diritti umani enormemente più degli uomini », spiega Silvia Fornari, docente di sociologia all’Università di Perugia.
Maltrattamenti fisici e sessuali, angherie, prepotenze, coercizioni psicologiche ed economiche, più sottili ma ugualmente distruttive, che possono riguardare qualunque donna.
«La violenza contro le donne è trasversale, colpisce senza distinzione d’età, provenienza geografica, livello d’istruzione o status sociale», sottolinea la sociologa che è curatrice del testo La violenza di genere in Umbria tra realtà e percezione sociale (Cedam Editore, 2020).
Pensiero dominante
Violenze drammaticamente democratiche che hanno lo stesso comune denominatore: la donna considerata soggetto inferiore. «Maltrattamenti domestici, aggressioni sessuali,discriminazioni economiche: l’elemento su cui si basano queste prevaricazioni è sempre lo stereotipo che considera il genere maschile dominante», rileva Antonella Faieta, avvocato penalista e vicepresidente dell’associazione Telefono Rosa (www.telefonorosa.it). Un preconcetto che insiste e resiste anche in Italia. «Il patriarcato è ancora pienamente presente nella nostra cultura – rimarca anche Fornari – e impedisce di smantellare alla radice l’idea della donna come soggetto secondo all’uomo». Un’impostazione spesso evidente nelle relazioni più intime in cui sono proprio gli uomini più vicini alle donne a trasformarsi nei loro più feroci carnefici.
Padri, fratelli, compagni o ex partner: è tra le mura di casa e in famiglia che si consuma la stragrande maggioranza delle violenze. Questa situazione è venuta ancor più alla luce negli 87 giorni di confinamento forzato per l’emergenza sanitaria: tra marzo e giugno di quest’anno l’Istat ha rilevato oltre 5mila chiamate al numero antiviolenza e antistalking 1522 registrando un incremento del 73% rispetto allo stesso periodo del 2019. Telefonate in aumento anche per la maggiore consapevolezza acquisita dalle vittime che sanno come e a chi rivolgersi per chiedere aiuto grazie alle tante campagne di sensibilizzazione. «È importantissimo spiegare come si possano chiedere informazioni in assoluto anonimato – aggiunge Faieta –, senza dover sporgere nessuna denuncia e soprattutto senza essere colpevolizzate».
Segnali in codice
Secondo un’indagine dell’Istat una donna italiana su 3, tra i 16 e i 70 anni, ha vissuto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: una vera piaga sociale alla quale, negli ultimi anni, anche la politica ha cercato di trovare soluzioni efficaci. Lo scorso anno il Parlamento ha approvato la legge nota come Codice Rosso che prevede una corsia preferenziale per le denunce e le indagini riguardanti casi di violenza contro donne o minori; nel 2018 è stata approvata la legge che riconosce tutele processuali ed economiche ai figli non autosufficienti di madri uccise da partner o ex partner. «Due pietre miliari in questa battaglia di civiltà che, però, non possono essere considerate un punto di arrivo», afferma Stefania Ascari, deputata del M5S e componente della Commissione giustizia, che ha appena depositato una nuova proposta di legge per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere e della violenza sui minori. «Dal punto di vista giudiziario – le fa eco Faieta – i processi si sono velocizzati e le vittime di violenza riescono a vedere i loro aguzzini sul banco degli imputati in tempi ragionevoli».Se pene più severe e una giustizia più rapida per questi reati rappresentano senza dubbio una tutela importante per le vittime, tuttavia sono ancora molti gli strumenti da mettere a punto per aiutare le donne violate a venire allo scoperto. «Inasprire le pene non può essere l’unica risposta del legislatore – precisa la deputata –. È importante rafforzare le norme a tutela delle donne che denunciano e assumere provvedimenti che aiutino le associazioni impegnate in questo delicatissimo ambito».
Presa di coscienza
Un quadro normativo efficace è anche quello che prevede una formazione specifica per chi deve accogliere, accompagnare e sostenere le donne vittime di violenza. «Servono maggiori risorse per la formazione degli operatori pubblici, sanitari, forze dell’ordine, psicologi, magistrati, insegnanti – continua Ascari –. La lotta alla violenza di genere passa inesorabilmente per una guerra che si potrà vincere solo collegando meglio e coordinando tutti gli sforzi dei vari attori, istituzionali e non solo». Ebbene, la formazione. La ritiene essenziale anche la vicepresidente del Telefono Rosa. «Se nell’immediato è indispensabile incrementare i posti nelle case rifugio per le donne in situazione di pericolo – dice Faieta –, nel lungo periodo è essenziale puntare sull’ampliamento delle competenze di chi, sia nel penale che nel civile, ha il compito di individuare un caso di violenza di genere, senza correre il rischio di derubricarlo a semplice conflitto». Elementi decisivi per sradicare un problema che è principalmente culturale e che va affrontato a partire dai più piccoli. La scuola in questo senso diventa il luogo ideale – e irrinunciabile – per sviluppare una coscienza sociale diffusa che protegga tutte le donne. «Dal nido all’università », insiste Fornari che racconta come nell’ateneo perugino ci sarà presto non solo lo sportello antiviolenza a disposizione di tutta la popolazione universitaria, studenti e non, ma anche la consigliera di fiducia, figura terza che valuterà i casi di molestia sul luogo di lavoro. Passi significativi verso una nuova sensibilità della società che, ancora troppo spesso, punta il dito accusatore contro le vittime.
Diritti violati
Dall’orrore della mutilazione genitale alla negazione dell’istruzione scolastica: mille e una violenza sulle donne in ogni parte del mondo.
Non solo aggressioni fisiche e sessuali. Le violenze perpetrate in tutto il mondo contro donne, ragazze e a volte bambine assumono forme di prevaricazione diverse che affondano le radici in varie ingiustificabili ragioni a seconda delle latitudini: dall’orrore della mutilazione genitale allo stupro coniugale o utilizzato come arma di guerra, dall’obbligo di indossare il burka alla negazione dell’istruzione scolastica e di un conseguente lavoro qualificato, dai matrimoni precoci all’impossibilità di decidere liberamente su sesso e contraccezione, fino al divario retributivo tra uomini e donne che interessa anche i paesi più avanzati. Abusi e privazioni che fanno dichiarare la violenza contro le donne “la più diffusa violazione dei diritti umani” (Consiglio d’Europa, 1997) e uno degli ostacoli principali al raggiungimento dell’uguaglianza, dello sviluppo, della pace a livello mondiale.
Un fenomeno tristemente confermato dai numeri che seguono:
- Italia
- 62 le donne uccise nell’ambito familiare o affettivo al 31 agosto 2020. In aumento del 15% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
- 88 le volte al giorno in cui avviene una violenza su una donna, una ogni 15 minuti.
- 74% la percentuale di italiani segnalati all’autorità giudiziaria nel 2019 come presunti autori di reati violenti contro le donne.
- 12% la percentuale, ancora bassa, di violenze denunciate, anche se la tendenza ad accusare formalmente l’uomo violento è cresciuta dal 6,7% del 2006 all’11,8% del 2017.
(Fonti: Istat e Questo non è amore, report della Polizia di Stato)
- Resto del mondo
- 379 milioni le donne che, nel mondo, hanno subìto violenze fisiche e/o sessuali da parte del partner nel 2018. Nei paesi in guerra le percentuali sono più alte della media.
- 15 milioni le adolescenti tra i 15 e i 19 anni che, a livello globale, hanno subìto violenza sessuale.
- 137 le donne uccise ogni giorno sul pianeta. L’Asia registra il maggior numero di omicidi femminili: nel 2017 i casi sono stati 20mila.
(Fonti: Women, peace and security index 2019/20 e Unodc Global study on homicide 2018)