Le disuguaglianze economiche, oltre ad essere una delle principali cause della lunga crisi, sembra ne siano anche la conseguenza. Perché?
«La disuguaglianza è un problema perché la distribuzione ineguale del reddito vuol dire distribuzione ineguale del potere d’acquisto e quindi indebolimento dell’economia perché calano i consumi dei ceti medio bassi che sono fondamentali. E poi è anche un problema sociale perché la tenuta stessa delle democrazie è a rischio quando aumenta il malcontento».
Che fare per invertire questa tendenza?
«Bisogna lottare contro elusione e evasione fiscale, soprattutto contro i grandi gruppi. Questo è un punto chiave. La questione numero uno è la questione fiscale su scala globale: 100 miliardi di elusione basterebbero a far sopravvivere 64 milioni di bambini che non hanno accesso alle cure sanitarie».
Ma la stiamo affrontando questa emergenza?
«Le istituzioni internazionali stanno cercando di fare qualcosa – penso alle cause contro Ryanair e Apple –; ci sono delle prime indicazioni. Io credo che si dovrebbero muovere anche le istituzioni locali per evitare che intervista i grossi gruppi evadano il fisco. E poi dovrebbero diffondersi sempre di più nei bilanci delle imprese non solo gli indicatori sull’ambiente e sul lavoro, ma anche quelli sul fisco».
Questo basterebbe a mettere un freno alle disuguaglianze?
«No, occorre che prevalgano politiche di riduzione delle disuguaglianze e di progressività fiscale. Il problema è anche culturale. Se prevale l’idea per cui la spesa pubblica è uno spreco e bisogna affamare lo stato...».
Quindi se ne esce con politiche fiscali rigorose e con politiche di investimenti pubblici?
«Assolutamente sì. Che per noi sono politiche di tipo europeo a partire dalla battaglia contro l’austerità e a favore della mutualizzazione di rischi e debiti».
Il suo recente libro sulla povertà tocca quella che è l’estrema conseguenza delle disuguaglianze.
«Sì, il problema dell’Italia è che abbiamo una quota di persone sotto la povertà assoluta che è aumentato da 1 milione a 4 milioni e mezzo di persone. La mia idea è che, in una società dove la creazione-distruzione dei posti di lavoro è molto frequente ed è grande la mobilità, noi abbiamo bisogno di una rete di protezione universale. E questo significa reddito minimo e sostegno all’inclusione attiva. Bisogna arrivare prima possibile a mettere sul piatto quei 7 miliardi che servono a strappare quei 4 milioni di persone dalla loro condizione di povertà assoluta».