Grande ridistribuzione

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Diagnosi e ricette a confronto per ridistribuire reddito e ricchezza in maniera più equa.
Pompeo Della Posta

 

L’aumento della disuguaglianza è dovuto a ragioni diverse, tutte però a danno dei lavoratori meno specializzati e con minor reddito: il processo di globalizzazione, che ha spostato il lavoro manuale da una parte all’altra del mondo, il progresso tecnologico, che ha aumentato il ruolo dei macchinari rispetto al lavoro, e l’abbandono delle politiche di redistribuzione del reddito e di tutela del lavoro. Al di là delle ragioni etiche, la disuguaglianza riduce il capitale sociale di un paese, cioè il senso di appartenenza e di condivisione. Inoltre, se la disuguaglianza produce povertà, le fasce più deboli della popolazione non potranno curarsi adeguatamente né investire sull’educazione dei figli, il che non permette un aumento della produttività del lavoro e impedisce quindi la crescita economica. L’aumento della disuguaglianza è stato ritenuto anche all’origine della recente crisi finanziaria mondiale: la riduzione dei salari ha comportato la necessità di indebitarsi, e questo ha causato la crisi quando la restituzione dei debiti non è stata più possibile. Politiche redistributive volte a ridurre la disuguaglianza avrebbero evitato tutto questo, dando pari opportunità iniziali. Il che non avrebbe escluso risultati finali diversi tra le persone in virtù del merito, del sacrificio, delle abilità. Da più parti si propone quindi una tassazione globale sui movimenti di capitale, che avrebbe anche il merito di aumentare la trasparenza finanziaria e di ridurre il ruolo della finanza che spesso opera non come utile strumento di intermediazione, ma come mezzo per ottenere profitti smisurati. Altri propongono, invece, una bassa tassa globale sulla ricchezza, combinata con un ritorno alla progressività della tassazione (che non ha impedito fino agli anni Settanta gli alti tassi di crescita dei paesi sviluppati), l’aumento della partecipazione delle donne (purché non discriminate da salari più bassi di quelli degli uomini), una riduzione del lavoro precario e l’aumento dell’investimento in capitale umano e della formazione dei lavoratori. Queste misure trovano però moltissime resistenze, alcune senz’altro comprensibili. Ma i rischi che un aumento della disuguaglianza comporta sulla tenuta del nostro sistema sociale, sulla nostra sicurezza e sui nostri sistemi democratici sono tali da richiedere un cambiamento di rotta. Il confronto da fare, infatti, non è fra l’applicare queste misure e il non applicarle, ma fra l’applicarle e l’accettare i rischi di instabilità e disordine interno e internazionale che derivano da livelli elevati di disuguaglianza economica. E la perdita attesa in questo secondo caso è tale da non lasciare scelta.