Acquaforte

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23 Dicembre 2020
Le alluvioni al tempo dei cambiamenti climatici. Dove e come intervenire per rendere le piogge meno distruttive?

Articolo pubblicato su NuovoConsumo del mese di dicembre 2020

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di Luca Mercalli

L’alluvione che ha colpito le valli del Cuneese e il dipartimento francese delle Alpi Marittime il 2 ottobre solleva di nuovo le domande su eventi estremi e cambiamenti climatici. Le risposte non sono semplici, perché si tratta di fenomeni che dipendono da una moltitudine di fattori e di conoscenze scientifiche non banalizzabili in ricette semplificate.
Pesa il fenomeno meteorologico in sé, ma pure la vulnerabilità del territorio a seguito delle sconsiderate scelte urbanistiche di questi ultimi decenni. Non c’è dubbio che la precipitazione sia stata particolarmente forte: 600 millimetri di pioggia in meno di 24 ore, ovvero 600 litri al metro quadro che da quote oltre i 2mila metri irrompono a valle con forza distruttiva. Di alluvioni nella storia ce ne sono sempre state, ma ora intervengono i cambiamenti climatici. Il riscaldamento globale fa aumentare la temperatura del Mediterraneo che produce più vapore disponibile per la formazione delle piogge, rendendole più intense e più distruttive. Non pensate allora che sia possibile trattenerle solo con la manutenzione del territorio, non basta togliere le foglie dai tombini o rattoppare i muri a secco.

 

Allora dove bisogna intervenire?
Soprattutto nella pianificazione urbanistica: lasciare ai fiumi le loro aree di pertinenza, non costruire in prossimità degli alvei di quelli che sembrano quieti torrenti destinati, però, a trasformarsi in rabbiose valanghe d’acqua durante le piogge violente. Gli antichi centri storici erano situati in genere in aree sicure e, anche se talora sono stati invasi dal fango, il grosso dei danni è avvenuto nelle espansioni urbane recenti: villette nate come funghi nel secondo dopoguerra che sono state trascinate via dalle acque come giocattoli, ponti, strade, condotte dell’acqua e del gas, parcheggi sotterranei, capannoni industriali.
Tutte infrastrutture cementizie che, affamate di suolo, avevano via via invaso i fondivalle senza tenere conto della morfologia fluviale. Qui bisognerà avere il coraggio politico di non consentirne la ricostruzione, perché dove l’acqua è arrivata una volta sicuramente ritornerà, a maggior ragione con i cambiamenti climatici in corso. La cartografia del rischio idrogeologico permette di delimitare le aree soggette a frana o inondazione e starne lontani. Infine ci vogliono grandi dosi di prevenzione e cultura della protezione civile.
Troppo spesso dopo i cori di sgomento dei giorni dell’emergenza si tende a dimenticare tutto appena torna a splendere il sole. Abbiamo bisogno di tornare a insegnare la geografia fisica dei luoghi dove abitiamo: clima, geomorfologia, geologia, idrologia, pianificazione territoriale non sono solo vezzi didattici ma nozioni di base che possono salvare la vita quando si è in mezzo alla tempesta. O evitano almeno di firmare un atto notarile per l’acquisto di una casa pericolosa.

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