Cuba libre

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5 Agosto 2022
Nella più famosa e rivoluzionaria isola caraibica la vacanza non è la solita vacanza.

Articolo pubblicato su NuovoConsumo del mese di luglio 2022

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di Alessandra Bartali

Quasi mai si va a Cuba solo per vederla: spesso si va per toccare con mano il sogno di una società diversa, anche se sbiadito, carpire un po’ del suo ritmo lento, o sfuggire ai circuiti turistici che ci proiettano in comunità diverse ma sempre uguali a quelle in cui viviamo. Con lo spauracchio che prima o poi anche la più famosa e rivoluzionaria isola caraibica finirà per somigliarci.

Note di colore

La capitale è trasandata in quel modo seducente che riesce a pochi: il cromatismo bizzarro degli edifici a La Habana Vieja (L’Avana Vecchia) dona una personalità affascinante e struggente. Si gira tra i caffè di Plaza Vieja, si fanno foto a ometti pittorescamente ricurvi su bici scassate e si entra poi nel Museo de la Revolución, che oltre a ripercorrere le radici precolombiane di Cuba, espone cimeli di storia rivoluzionaria pre e post Baia dei Porci. Tra uniformi intrise di sangue, ricostruzioni storiche e carri armati integri o in pezzi, la visita termina davanti alla gloriosa Granma, l’imbarcazione con cui nel 1956 Fidel Castro raggiunse Cuba dal Messico: si trova dietro una teca in vetro ed è sorvegliata giorno e notte, probabilmente – è la battuta corrente – per evitare che qualcuno tenti di rubarla per scappare in Florida. E poi via a bordo di un almendron, come si chiamano le auto americane Anni Cinquanta abbandonate dai gringos in fuga durante la rivoluzione.

Ritmo caraibico

Oltre a quelle trasformate in gioielli luccicanti per far sborsare 50 cuc all’ora ai turisti, molte sono utilizzate come taxi collettivi: ammaccate, mezze arrugginite, nessuna ha il motore originale e anche la carrozzeria è spesso adattata alle strade malmesse dell’isola. Con una Cadillac cabrio lunga 6 metri con cerchioni da fuoristrada si può arrivare al Vedado, quartiere in passato dedito al gioco d’azzardo e adesso fulcro della vita underground dei giovani cubani, carico di hotel trasformati prima in condomini e poi in terrazze da aperitivo sul mare, caffè-librerie all’aperto rigorosamente senza wi-fi e spazi espositivi di vario tipo. Oppure farsi portare fino a Jaimanitas per visitare il paradiso di ceramica di José Fuster, dove anche cancelli e cartelli stradali diventano opere artistiche. Dopo la città, il mare naturalmente – quello di Varadero, per ricordarsi che siamo ai Caraibi – e poi a ballare la rumba, a Matanzas, e scoprire le origini della santeria, un miscuglio di pratiche di magia africana e santi cattolici, che nemmeno la rivoluzione è stata in grado di scalfire. Palato fine 

Dove mangiare? Nei paladares, ovviamente.

Erano i primi Anni Novanta, i cubani se la passavano malissimo dopo il crollo dell’Urss e una telenovela brasiliana fece scattare l’idea: Paladar (palato) era il nome della trattoria aperta in casa da una signora per sbarcare il lunario. Negli anni seguenti così si chiamarono le piccole realtà culinarie cubane (inizialmente abusive, poi rigidamente regolamentate) dove i proprietari di case si mettevano ai fornelli per i turisti. Adesso molte regole sono cadute – non sono più vietati pesce né alcolici –, alcune rimangono – non più di 50 ospiti ammessi – e l’offerta è molto varia: si mangia cibo tradizionale come la ropa vieja (manzo tritato, maiale, riso e fagioli), succulento pollo asado, ma anche sciccherie come tacos di tonno o carpaccio di pesce con tartare di pomodoro e gel di peperoncino piquillo. www.visitcuba.it