Un terreno vulcanico, 360 metri sopra il livello del mare, in un territorio ricco di storia e cultura che conserva ancora oggi le affascinanti tracce della civiltà etrusca, non lontano dalle più antiche sorgenti termali della Tuscia. Siamo a Viterbo, dove per l’azienda agricola Camilli Danilo l’agricoltura è una tradizione di famiglia: qui il cavolfiore romanesco (o broccolo romanesco o cavolo romanesco che dir si voglia) si coltiva ormai da quattro generazioni.
Di padre in figlio
Una storia portata avanti nel segno dell’esperienza e della tradizione che, come racconta Camilli, «è iniziata con i miei bisnonni, per proseguire con i miei nonni e poi con mio padre Gualtiero, che ancora oggi è presente con me in azienda». Una ventina di anni fa l’azienda ha incrementato la sua superficie, produzione e distribuzione, arrivando oggi a dare lavoro a 130 dipendenti stagionali. Su 450 ettari destinati alle colture orticole (tra cui il cavolfiore bianco, il melone, gli asparagi, le patate e i finocchi), 120 sono dedicati al cavolo romanesco: un ortaggio che non passa certo inosservato, grazie alla forma piramidale – una struttura perfetta, fatta di tante piccole rosette disposte a spirale che si ripetono in maniera regolare – e al colore verde brillante. Geometrie intriganti, che lo rendono in grado di arricchire in maniera elegante il piatto. A basso contenuto calorico, il broccolo romanesco è ricchissimo di sali minerali, vitamine e betacarotene, ha proprietà antiossidanti ed è facilmente digeribile.
Terreno fertile
Nei terreni dell’azienda Camilli si raccoglie per dieci mesi all’anno, da metà settembre a metà luglio. «Grazie alle caratteristiche pedoclimatiche, quest’area del territorio laziale si rivela particolarmente adatta all’agricoltura – spiega Camilli –. Le proprietà del terreno, ricco di potassio, l’esposizione solare, l’escursione termica tra il giorno e la notte contribuiscono a rendere il nostro cavolo romanesco unico dal punto di vista delle caratteristiche cromatiche e organolettiche». Per questi motivi, infatti, il cavolfiore romanesco proveniente da questi terreni presenta un colore verde bottiglia più intenso del solito e l’infiorescenza – che nel caso dei broccoli è la parte che si mangia – si mantiene particolarmente compatta. E anche il sapore si rivela più dolce rispetto a quello di un ortaggio coltivato
Un buon cavolo
Tanti modi per cucinarlo in tutte le salse e in ogni stagione.
Il cavolo romanesco si presta in particolar modo alla preparazione di contorni e primi piatti. La semplicità ne esalta il sapore: per gustarlo al meglio basta infatti lessarlo e condirlo con olio extravergine d’oliva e (a piacere) aceto. Un altro modo piuttosto diffuso di cucinarlo è ripassato in padella. Si sposa bene anche con la cottura al forno, magari arricchito da una bella spolverata di pane grattugiato. Nel Lazio vi è anche l’usanza tipica di prepararlo con una pastella semplice d’acqua, farina e un pizzico di sale per friggerlo poi in padella (rientra così a pieno titolo tra i cosiddetti “fritti di Natale”). Diversamente dal cavolfiore bianco, che si fa apprezzare anche crudo nell’insalata, il cavolo romanesco viene consumato cotto. Specialmente d’estate, infatti, quando l’escursione termica è minore, può tendere a “pizzicare” di più come sapore: una caratteristica, questa, che però viene meno non appena lo si cuoce.