È qui la festa

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10 Dicembre 2017
Nella società dei consumi assicurati e abbondanti ha ancora senso celebrare il Natale con una mangiata rituale?
di Massimo Montanari

l legame tra festa e cibo è un fondamentale dell’antropologia. Mangiare insieme, in modo più accurato e più abbondante del solito, serve ad auspicare, oltre la sopravvivenza, il benessere della comunità. Il cibo è festa e la festa – che esorcizza la paura della fame – è anzitutto cibo. I compagni di san Francesco discutevano un giorno su come allestire la tavola per la ricorrenza natalizia: il Natale si sarebbe dovuto celebrare con un bel pranzo, ma quell’anno capitava di venerdì, giorno dedicato all’astinenza, alla mortificazione del corpo. Non venendo a capo della questione, chiesero il parere di Francesco. Lui spiegò che digiunare in un giorno di festa non è ammissibile, anzi è (in senso letterale) peccato. E dunque il Natale, la festa più grande dell’anno, come potremmo festeggiarlo se non a tavola, mangiando e rendendo grazie a Dio per il cibo che ci regala? “Anzi vorrei – aggiunse Francesco – che in un giorno come questo tutti partecipassero al rito conviviale: uomini e animali, e gli uccelli dell’aria. Tutti. E perché non gli oggetti inanimati, perché non i muri? Che ne direste  di ungerli di grasso, per farli partecipare al banchetto?”.

Francesco – continua Tommaso da Celano, che ci ha raccontato questa storia – era particolarmente devoto al Natale e “voleva che in questo giorno i poveri e i mendicanti fossero saziati dai ricchi, e i buoi e gli asini ricevessero una razione di cibo e di fieno più abbondante del solito”. Una volta avrebbe detto ai suoi compagni: «Se mai potrò parlare all’imperatore, lo supplicherò di emanare un editto generale che imponga a tutti coloro che ne hanno la possibilità di spargere per le vie frumento e granaglie, affinché in un giorno di tanta solennità gli uccellini e particolarmente le sorelle allodole ne abbiano in abbondanza». L’immagine del Natale come festa universale si trasforma in una sorta di banchetto cosmico, all’insegna della fraternità e della solidarietà.
Ha ancora senso oggi? A prima vista si direbbe di no: almeno nei paesi ricchi forme più distaccate di rapporto col cibo hanno rimpiazzato la paura della fame e i rituali di abbondanza. Di questo sarebbe ingrato lamentarci. Tuttavia, qualcosa dell’antico merita di essere preservato: festa potrebbe significare una maggiore attenzione al cibo, nel segno del rispetto di chi lo produce e lo prepara; un maggiore desiderio di condividere la tavola; una piccola riflessione sulla fortuna che abbiamo di poter scegliere il cibo secondo il nostro gusto; una sosta in cucina per assaporare, al di là delle vivande, la cultura che le rende possibili. Tutto ciò non sarà conservazione dell’antico ma dell’antico rispetterà, rinnovandoli, i valori più profondi.

*docente  di storia medievale e storia dell'alimentazione Università di Bologna

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