Un bel libro di Alberto Capatti, Vegetit, (Cinquesensi editore) racconta la storia – come recita il sottotitolo – delle avanguardie vegetariane in Italia. È una storia che inizia nel primo Novecento e ha come epicentro Milano. Una storia che nasce negli ambienti borghesi attraverso il costituirsi di associazioni e circoli e si dipana tra mense, ristoranti ma soprattutto cliniche e case di cura, giacché queste “avanguardie” inizialmente guardano soprattutto all’igiene e alla salute. Sono in gran parte medici coloro che le guidano, prescrivendo l’astinenza dalla carne (o anche solo la sua riduzione) come strumento di benessere fisico e di cura del corpo, entro un quadro più ampio che include ginnastica, sport, aria pura, contatto con la natura.
Nel ventennio saranno chiamati naturisti ed entreranno in sintonia con l’ideologia mussoliniana dell’italiano autarchico, saldamente legato ai valori della terra e dei suoi prodotti naturali e sani politico, che enfatizzava ulteriormente la prospettiva igienica e salutistica del movimento, la cultura vegetariana uscì rafforzata e ufficialmente riconosciuta. Nel 1930 uscì il primo ricettario italiano di cucina vegetariana, ovvero manuale di gastrosofia naturista, opera del duca Enrico Alliata di Salaparuta, che valorizzava in chiave nuova le tradizioni gastronomiche locali, soprattutto del Meridione e della Sicilia. Nel decennio successivo si rafforzarono anche i rapporti con la cultura igienista di area tedesca che presero il sopravvento nei rapporti internazionali del movimento vegetariano, prima rivolti di preferenza verso Francia o Svizzera. Il racconto di Capatti termina a metà del secolo, aprendo solo rapidi squarci sul periodo successivo, quando le cose cambiano radicalmente.
Dopo la seconda guerra mondiale, i movimenti vegetariani assumono nuove prospettive e diverse sono le “guide”, i maestri che dettano la linea: non più medici, bensì intellettuali e filosofi che riflettono sul valore etico di quelle scelte.
Personaggi che portano in primo piano temi quali l’ambientalismo e l’animalismo, spostando l’asse del discorso dal vantaggio individuale al benessere collettivo e agli aspetti relazionali del gesto alimentare: il rispetto della vita animale, il mantenimento degli equilibri naturali. Capatti (che vegetariano non è) è attratto, come il lettore, dalla profonda dimensione intellettuale dei protagonisti.
Gente che pensa, riflette, ragiona sul cibo che mangia. Gente che consapevolmente sceglie.