Davanti al banco della pescheria ci accorgiamo di come sia difficile sapere se il pesce che stiamo per acquistare è sostenibile o meno. Ben venga quindi una certificazione per aiutarci, purché sia affidabile. Un recente rapporto del Wwf analizza in modo specifico l’esperienza del processo di certificazione della pesca al tonno nell'oceano Indiano da parte di Msc (Marine Stewardship Council), prendendolo come esempio di pratiche diffuse all’interno di quest’organizzazione nei processi di certificazione.
Il rapporto solleva dubbi sull’accuratezza e l’affidabilità dei processi di certificazione Msc, al momento probabilmente la più diffusa certificazione del settore ittico. Il rapporto indica che Msc è intervenuto nei propri processi per cercare di assicurare l’esito positivo di certificazioni, che non sarebbero dovute essere concesse in base agli standard dello stesso Msc. Si evidenzia come vi sia un chiaro conflitto di interessi: Msc da un lato dovrebbe garantire, tramite i suoi standard, la piena sostenibilità dei prodotti certificati, dall’altro trae profitto dal concedere alle aziende il proprio logo. È stato dimostrato come in alcune occasioni abbia piegato le stesse regole per favorire il suo business. «Questo modo di operare mina la fiducia dei consumatori e mette in crisi anche quella parte delle certificazioni che coinvolgono attori davvero rispettosi dell'ambiente e che fanno uno sforzo per cambiare l’industria della pesca, come le flotte che pescano a canna o senza Fad, ovvero i vari sistemi di aggregazione per pesci», commenta Giorgia Monti della Campagna Mare di Greenpeace. Per questo è necessario che siano le grandi catene di supermercati e le aziende del tonno a diventare garanti della sostenibilità dei loro prodotti davanti ai consumatori, stabilendo standard e obiettivi stringenti e seri sistemi di tracciabilità, senza affidarsi in maniera cieca a certificazioni che al momento non possono dare garanzie assolute.
Gabriele Salari ufficio stampa Greenpeace