Di nostra fiducia

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Si è dimostrata più efficace delle altre forme d’impresa negli anni bui della crisi e gli italiani se ne sono accorti: il 69 per cento la giudica molto utile allo sviluppo economico e sociale del paese. In forte risalita l’indice di fiducia verso il sistema Coop, che incide sempre di più sull’economia italiana. Ecco di che cosa s’è parlato alla Biennale dell’economia cooperativa che si è svolta a Bologna dal 7 al 9 ottobre.
di Claudio Strano

Dopo tanti anni si è invertita la tendenza e Mauro Lusetti, presidente nazionale di Legacoop, ci tiene a sottolinearlo “con la matita blu” introducendo i lavori della Biennale dell’economia cooperativa che si è svolta a Bologna dal 7 al 9 ottobre. Nell’indice che misura la fiducia degli italiani, le cooperative incassano un più 7 per cento sul 2015 contro una flessione del 2 per cento delle imprese private. Il confronto è ora 50 a 41 a favore delle Coop.

Analisi di sistema

Partiamo dai dati economici, che ci restituiscono il peso della cooperazione nel nostro paese. L’impatto complessivo, che tiene conto cioè della produzione diretta, indiretta e dell’indotto, comprese le società controllate – calcolato per la prima volta in questi termini dal professor Carlo Borzaga, economista dell’Università di Trento – si aggira tra l’8 e il 14 per cento a seconda che consideriamo l’economia nel suo insieme o il settore privato. «Se per assurdo cancellassimo dal mercato le cooperative e le loro controllate – spiega Borzaga, che presiede l’Euricse, l’lstituto europeo di ricerca sull’impresa cooperativa e sociale – bruceremmo l’8,8 per cento dell’economia italiana. Questi dati mi fanno concludere che la presenza cooperativa è una delle caratteristiche peculiari della nostra economia, come lo sono i distretti industriali e la rete delle piccole e medie imprese. Nessun altro paese ha un sistema di cooperative così ampio e capillare come quello italiano». L’altro aspetto interessante che emerge dallo studio è che tutte le forme di cooperazione sono state «decisamente anticicliche, quasi acicliche». Non solo le cooperative di lavoro, come tradizionalmente si crede, ma anche quelle di consumo che hanno assorbito gli aumenti dei prezzi difendendo i redditi delle famiglie. Mantenendo i livelli occupazionali e pagando lo sforzo con un taglio drastico degli utili.

Unione di fatto

Tra emergenze da affrontare (Mafia capitale, cooperative spurie, crisi in settori importanti come le costruzioni) e un lavoro di riposizionamento «che deve portarci – secondo Lusetti – dentro i processi di cambiamento, per far esprimere all’economia collaborativa le sue potenzialità e favorire un modello di sviluppo armonico», Legacoop si è spesa molto in questi ultimi anni. Non da ultimo lavorando all’unificazione delle 3 centrali (le altre 2 sono Confcooperative e Agci) per dare vita all’Alleanza delle cooperative italiane. Un processo non privo di ostacoli sul quale ha voluto soffermarsi il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenendo alla Biennale con la raccomandazione «ad andare avanti con decisione verso una unificazione effettiva, senza orgogli e passioni di bandiera». Le potenzialità, come si diceva, stanno nell’economia cooperativa, collaborativa e del dono su cui scommette il 40 per cento degli italiani, mentre 1 su 3 ritiene che lo sviluppo debba basarsi su un’economia di mercato e finanziaria, e un 14 per cento rispolvera l’economia pubblica.

Pronti alla cooperazione

La crisi ha inciso profondamente sul sistema delle imprese e ai settori in ripiegamento fanno da contraltare settori in espansione e nuovi sbocchi per le imprese. Intanto si va verso la quarta rivoluzione industriale che fa largo utilizzo di macchine intelligenti interconnesse all’internet delle cose. Il Governo ha recentemente messo sul piatto 13 miliardi di incentivi fiscali, distribuiti in 7 anni tra il 2018 e il 2024, per compiere un salto che non sarà indolore. Nell’innovazione spinta gli italiani vedono infatti il rischio di un’emorragia di posti di lavoro, quelli meno qualificati. E probabilmente non si sbagliano. Anche qui servirà un’economia più giusta, comunitaria e inclusiva, che sappia governare il passaggio mettendo al centro la persona e i sui diritti. In una parola, più cooperazione.

 

La Biennale di Bologna

Tre giorni di dibattiti sui grandi temi dell’economia e della politica con tanti protagonisti tra cui il premio Nobel Stiglitz, l’economista Fitoussi e Prodi. Un solo grande interrogativo: come combattere le diseguaglianze?

La cosa più urgente è combattere la diseguaglianza. E per farlo occorre riformare profondamente il capitalismo finanziario, così come si è manifestato a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. Sta in questa semplice ricetta il denominatore che accumuna l’analisi di tre grandi economisti come Joseph Stiglitz, premio Nobel, docente della Columbia University e consulente di Hilary Clinton, Jean- Paul Fitoussi, docente in Francia e Italia, e Romano Prodi, già presidente della Commissione europea e presidente del Consiglio. Voci autorevoli che raramente capita di poter sentire in un confronto comune, come invece è avvenuto alla Biennale dell’economia cooperativa.

Principio di diseguaglianza

«La diseguaglianza è cresciuta in tutti i paesi avanzati nel corso degli ultimi 30 anni – spiega Stiglitz – e se ciò è avvenuto è stato per precise scelte politiche ed economiche che hanno tradotto in pratica le indicazioni della dottrina neoliberale». A sostegno della sua tesi Stiglitz porta una mole impressionante di dati. Si va dal patrimonio delle 62 persone più ricche d’America che è pari a quello della metà più povera dell’intera popolazione (circa 160 milioni di persone). Oppure il fatto che l’1 per cento più ricco guadagna da solo più del restante 99. Inoltre i salari medi sono più bassi di 40 anni fa anche se la produttività è cresciuta a dismisura. Questo significa che a trarne beneficio sono i pochi in cima alla piramide. «In un mondo di diseguaglianze o la crescita è un fenomeno comune e diffuso oppure non serve a molto», afferma Fitoussi. Anche per questo Stiglitz dice esplicitamente che la trickle down economy, la teoria secondo cui se ai piani alti si sta bene, qualcosa arriva anche a chi sta sotto, non funziona. «Negli Usa la distanza tra quel che guadagna un amministratore delegato e i suoi operai – sottolinea Stiglitz – è aumentata di decine di volte negli ultimi decenni. Ma un amministratore, cioè una persona sola, non spenderà mai come 300 suoi operai». È da queste logiche che nasce la crisi della classe media, fortemente impoverita in questi ultimi anni. «Anche da noi c’è una classe media che ha perso potere d’acquisto – spiega Prodi –. E il rischio è che oggi tutti promettano solo di abbassare le tasse senza pensare a come si tutela lo stato sociale e senza capire che ci sono scelte tra opzioni diverse da fare».

Spirito di Comunità europea

Ma non si può parlare di Italia senza parlare di Europa, perché molte scelte economiche dipendono ormai da Bruxelles, come le cronache quotidiane ci ricordano. «Bisognerebbe proprio che quel che dice Stiglitz venisse tradotto in tedesco. La dottrina dell’austerità come ci viene imposta dalla Germania non va bene», afferma Prodi con una battuta. «Le politiche di abbassamento del debito non hanno funzionato – rincara Fitoussi – anzi il debito continua ad aumentare mentre abbiamo distrutto capitale umano e sociale. Occorre fare investimenti e attivare politiche di lungo periodo, puntando sul capitale umano, sulla ricerca e la formazione». L’economista francese aggiunge una preoccupazione ulteriore: «Meglio un punto in più di debito che far correre un rischio alla democrazia. Perché è questo oggi in Europa il problema, visto l’affermarsi di egoismi e di partiti nazionalisti ed estremisti. L’Europa va cambiata, deve diventare una federazione di stati capaci di disegnare il futuro». Altrimenti il paradosso è che, come avviene oggi, i singoli paesi «hanno diritto di cambiare il Governo, ma non di cambiare la politica».

Pro riforma

Per affrontare questo groviglio di problemi la ricetta di Stiglitz parte dall’idea che il capitalismo vada riformato perché la logica del “breve termine” e il dominio della dimensione finanziaria, oltre ad aumentare le diseguaglianze, hanno portato a ridurre gli investimenti. Stiglitz fa riferimento al ruolo fondamentale che la cooperazione può esercitare per cambiare il modo in cui funziona la nostra società, e introduce un ulteriore spazio d’azione riferendosi al dibattito su esperienze di partecipazione agli utili da parte dei dipendenti. «Per noi italiani – aggiunge Romano Prodi – è necessario essere consapevoli che l’ancoraggio a una dimensione europea è fondamentale per affrontare le sfide che abbiamo di fronte. Certo, le scelte che la Germania sta imponendo sono da rivedere profondamente. Ma occorre che come paese abbiamo la consapevolezza che ci giochiamo il futuro. Gli stati italiani nel Rinascimento primeggiavano in tutti i campi, dall’arte all’economia. Poi, con la scoperta dell’America arrivò una prima globalizzazione. Noi non riuscimmo ad adeguarci, prevalsero le divisioni e i campanili. E ne abbiamo pagato il prezzo per secoli. Oggi siamo davanti a un bivio simile.