«Attuare uno scontro frontale con la direttiva Bolkestein è stato un errore tattico del nostro paese; ministri e politici hanno provato a scavalcare questa direttiva in tutti i modi, che ricordo non è sull’ambiente ma sulla concorrenza. Crediamo invece che possa rappresentare un’opportunità per l’ambiente, ma anche per i gestori degli stabilimenti balneari». A dirlo a Nuovo Consumo è il direttore del Wwf, Gaetano Benedetto.
Si spieghi meglio. «Abbiamo già ottenuto proroghe su proroghe, cercando di trovare un accordo al nostro interno che non abbiamo ancora trovato, pur di mantenere lo status quo. A mio avviso, piuttosto che trovare escamotage, dovremmo cercare un modo per gestire le indicazioni della direttiva, introducendo criteri che non siano soltanto di carattere economico e di costi, ma anche di tutela ambientale. È l’occasione per passare da concessioni che hanno trasformato gli stabilimenti con servizi in vere e proprie cittadelle, come se le concessioni fossero per sempre, a un tipo d’autorizzazione in cui il gestore presenta un progetto integrato con al centro la tutela di un pezzo di costa, con compiti di promozione delle peculiarità del territorio».
I balneari italiani temono che la direttiva apra la strada ai grandi gruppi. «È un rischio, ma penso anche che, con i giusti criteri, le nuove gare potrebbero avvantaggiare la piccola conduzione, storicamente insediata in Italia, proprio in virtù di una connessione con il territorio che i grandi gruppi non hanno».
Molti privati limitano l’accesso al mare, mentre ci sono tanti litorali che hanno penuria di spiagge libere. Cosa ne pensa della decisione del Lazio di portare a oltre il 50 per cento le spiagge senza concessione? «Siamo nella classica zona grigia, e i privati ne approfittano. Bene la decisione del Lazio, a condizione che non ci si limiti a una serie di corridoi tra stabilimenti privati o a spiagge inaccessibili ».
Intanto la cementificazione è proseguita anche in questi anni di crisi economica. «È vero, anche se meno che negli anni Ottanta e Novanta. Ciò non vuol dire che le coste hanno un sufficiente livello di attenzione: rimangono irrisolti i nodi di fondo. Tra questi ci sono senz’altro le occupazioni demaniali e in maniera più rilevante i progetti partiti 10 o 15 anni fa, come il porto di Anzio, che rischiano di creare danni notevoli, a partire dall’aumento dell’erosione delle nostre coste».