Anche se è vero che di cibo buono e sano si parla tantissimo e che l’attenzione per un’alimentazione naturale cresce, ciò non toglie che ci sia qualcosa da sistemare nel nostro rapporto con l’alimentazione, basta pensare ai problemi legati all’obesità. E in una fase in cui tantissimi consumatori stanno scoprendo specifiche linee di prodotti (ricchi di fibre, senza grassi, privi di glutine, ecc.) è forse utile riparlare anche di concetti che dovrebbero essere il fondamento su cui costruire la nostra alimentazione. Per questo vogliamo occuparci del consumo di frutta e verdura, un consumo che è alla base della corretta alimentazione secondo le indicazioni della celebre dieta mediterranea e della piramide alimentare definita dall’Istituto italiano di nutrizione, secondo il quale di frutta e verdura occorrerebbe mangiarne 5 porzioni al giorno. Purtroppo, anche se con un lieve recupero nel 2015 (+3 per cento sull’anno precedente), il consumo di frutta e verdura in Italia è in calo. Basti dire che nel 2000 si consumavano 9,5 milioni di tonnellate, contro gli 8,15 milioni del 2015. Una riduzione del 15 per cento, iniziata ben prima della crisi economica scatenatasi nel 2007-2008.
Non siamo alla frutta
Difficile indagare le cause di questo calo, ma pare probabile che, più che motivi legati ai prezzi (tema di cui parliamo approfonditamente nelle pagine seguenti), pesino aspetti educativi, di conoscenza e di attrattività verso prodotti che comunque rappresentano le eccellenze della nostra tradizione alimentare. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità di frutta e verdura occorrerebbe mangiarne 500 grammi al giorno. Anche se l’Italia è tra i paesi messi meglio in Europa (seconda dietro la Grecia), nel nostro paese il consumo di questi prodotti si attesta sui 303 grammi al giorno (erano 361 nel 2000). «Uno dei problemi – spiega Roberto Della Casa, docente di marketing e gestione dei prodotti agroalimentari all’Università di Bologna –, quando si scopre che mangiamo poca frutta e verdura, è che il 70 per cento degli italiani pensa che questo dato non sia riferito a loro, perché sono convinti di mangiarne già abbastanza, ma non è così. È vero che non è semplice stabilire quanti grammi di insalata ci sono nella ciotola. Il punto è che c’è uno scarto tra il percepito e la realtà».
Sempre guardando ai consumi di ortofrutta in questi anni sono da evidenziare altre modifiche negli stili di consumo delle famiglie. «Da un lato c’è meno spreco – afferma Claudio Mazzini, direttore di questo settore in Coop Italia –. Con la crisi si è diffusa una maggiore consapevolezza, c’è più attenzione alla sobrietà, si compra solo ciò che serve. L’altro grande cambiamento è legato alla crescita sia dei prodotti biologici che di prodotti con un contenuto di servizio più alto, penso alle insalate già lavate e imbustate, a verdure già lavorate e pronte per l’uso. Sono prodotti che costano di più, ma che le famiglie cercano perché danno una risposta alle esigenze di gestione familiare dei tempi, oppure, come per il biologico, rispondono a una ricerca di qualità e salubrità». Dunque una quota di consumatori è pronta a spendere di più per determinati tipi di prodotti. Ed è anche importante notare come nell’arco degli ultimi anni il peso della distribuzione moderna, e quindi delle catene come Coop, abbia un peso sempre maggiore rispetto ai volumi di venduto. Se nell’anno 2000 la quota di distribuzione moderna sul totale della frutta e verdura vendute in Italia valeva il 36 per cento, nel 2015 è arrivata al 63 per cento. Anche le meritorie iniziative di vendita diretta, la ricerca “del chilometro zero”, coprono piccoli segmenti di mercato e non sono in grado di incidere più di tanto sulle tendenze di fondo.
A rotazione
«Non da oggi, come Coop, siamo impegnati in una riflessione per migliorare l’attrattività di questi prodotti – spiega ancora Mazzini –. Se uno apre il web è sommerso da blog e commenti che spiegano come consumare ortofrutta tutti i giorni faccia bene alla salute. Ma c’è ancora tanto da fare per tradurre quest’informazione in consumi. Da un lato occorre che i produttori riescano a porre sempre maggiore attenzione alla qualità e non solo alle quantità. Poi c’è da continuare a fare un lavoro educativo e informativo. Quanto ai nostri punti vendita cerchiamo di curare molto l’esposizione. Al Supermercato del futuro realizzato ad Expo abbiamo lavorato, con grande apprezzamento da parte dei visitatori, sul tenere insieme prodotti di uno stesso colore, anche perché il colore è legato a specifiche proprietà e sostanze presenti nella frutta e nella verdura. E dunque proprio ruotando i colori si ottiene un’alimentazione più sana e completa».
Dunque occorre far sì che ognuno di noi si convinca che frutta e verdura fanno bene e che sono un consumo moderno e appetibile. Cosa per niente impossibile. Per esempio, un segmento molto piccolo, come quello della frutta secca, ha avuto un boom incredibile proprio perché entrata nella dieta di tanti come fattore di prevenzione. Ma cose simili stanno avvenendo, specie negli Usa, per i broccoli e il cavolo nero che, per le loro proprietà benefiche, stanno vivendo un autentico boom di consumi. Eppure al di là delle mode più o meno esasperate, basta andare ai fondamentali, ad esempio, usando il sistema dei colori, per fare un ripasso delle proprietà positive che frutta e verdura contengono.
Se partiamo dal rosso (cioè pomodori, fragole, anguria, peperoni, ciliegie, bietole ecc.) significa che abbiamo alto contenuto di due fitocomposti con azione antiossidante, il licopene e le antocianine, e che abbiamo un’alta presenza di vitamina C. Se, invece, ci spostiamo sul giallo-arancio (carote, arance, limoni, meloni, pesche ecc.) avremo anche qui tanta vitamina C, flavonoidi e carotenoidi; andando sul verde (asparagi, insalate varie, spinaci, zucchine, kiwi) avremo magnesio, vitamina C, acido folico e clorofilla, se andiamo sul blu/viola (melanzane, radicchio, fichi, frutti di bosco, prugne, uva nera ecc.) avremo antocianine, carotenoidi, potassio, magnesio e vitamina C; se ci spostiamo sul bianco (cavolfiore, cipolla, finocchio, aglio, sedano, mele, porri ecc.) avremo polifenoli e flavonoidi. Sul sito del Ministero della Salute e navigando in rete si possono trovare ampi materiali su questo schema, ma è chiaro che, seguendo la stagionalità di questi prodotti, alternando i colori e con le infinte possibilità di combinazione nei diversi menu, mangiare frutta e verdura oltre che far bene, è tutt’altro che rinunciare al gusto e alla qualità.
Italiane vere
La frutta e la verdura vendute in Coop.
Nei negozi Coop l’85 per cento del totale della frutta e verdura provengono dall’Italia. Il 15 per cento che viene dall’estero è in gran parte rappresentato da produzioni come banane o ananas che qui da noi non crescono pur essendo diventate una componente importante dei nostri consumi. Se si tolgono questi prodotti esotici, la quota di produzioni italiane nei negozi Coop arriva al 95 per cento. Spesso le produzioni straniere sono le primizie come, ad esempio, i meloni che compaiono sui banchi proprio in queste settimane. Altri prodotti come i kiwi, sono ora coltivati anche in Italia, ma la produzione nostrana non è in grado di coprire il fabbisogno sui 12 mesi, per cui ci si rivolge all’estero.