Un viaggio nelle terre del Tapajós, nella Foresta Amazzonica. Il fiume Tapajós, lungo più di 800 chilometri, scende dall’altopiano del Mato Grosso fino a sfociare nel Rio delle Amazzoni e le sue acque ospitano numerose specie animali, tra cui il rarissimo delfino rosa. La foresta, il fiume e le comunità indigene e fluviali che da sempre abitano questi territori sono in grave pericolo.
Il governo brasiliano, infatti, prevede di costruire più di 40 dighe nel bacino del Tapajós, 5 delle quali sono già in cantiere. La più grande ha una capacità potenziale di 8.040 Megawatt, un’estensione in linea d’aria di 7 chilometri e mezzo e un bacino idrico grande come la città di New York. La costruzione di questa mega diga idroelettrica minaccia la sopravvivenza di 12mila indigeni Munduruku, le “formiche rosse” dell’Amazzonia che dicono «il fiume e la foresta sono la nostra vita: sono parte della nostra famiglia, e come tali ci appartengono. Se il fiume Tapajós venisse arginato e le terre vicine allagate, noi perderemmo la nostra più importante fonte di sostentamento, il nostro principale mezzo di trasporto e il pilastro fondamentale della nostra cultura».
È mancata – anche se sarebbe prevista per legge – la consultazione preventiva, informata e libera delle comunità indigene Munduruku e di tutte le altre popolazioni locali messe a rischio dalla costruzione della diga. Inoltre i danni causati dalla perdita delle attività di pesca, la distruzione di luoghi sacri e l’allontanamento forzato degli abitanti dai loro villaggi sono stati omessi dalla Valutazione di impatto ambientale e dallo Studio di impatto ambientale.
Greenpeace chiede quindi al governo brasiliano di rinunciare ai megaprogetti idroelettrici e di concentrarsi sulle alternative rinnovabili esistenti, come l’energia solare o eolica, che sarebbero in grado di soddisfare le esigenze di approvvigionamento energetico del Brasile, senza distruggere la biodiversità e i mezzi di sussistenza delle comunità locali.
Gabriele Salari ufficio stampa Greenpeace