Non si riesce a comprendere perché si continui a pensare a un collegamento fisso tra Sicilia e penisola, vagheggiando come un sogno quello che ha tutti i connotati di un incubo ricorrente: il famigerato ponte sullo stretto di Messina. Nessuno riesce a dire chiaramente che si tratta di una grande opera inutile e diseducativa, oltre che tecnicamente rischiosa e geologicamente pericolosa (anche se in modo indiretto).
Il ponte è inutile in misura direttamente proporzionale a quanto ci si avvicina a Reggio e Messina. Su 15mila persone che fanno i pendolari da una parte all’altra ogni giorno, 12mila sarebbero costretti a utilizzare la vettura, se volessero servirsi del ponte. E ci metterebbero molto più tempo dei 25 minuti attuali: infatti le rampe del ponte non sarebbero nei centri abitati, ma molto al di fuori e quindi, calcolando gli spostamenti dalle città al ponte e poi dal ponte alle città, ci vorrebbero oltre 40 minuti, oltre all’attraversamento aereo che sarebbe, solo quello, più breve.
Il ponte è diseducativo per i rapporti fra uomo e natura: ci si illuderebbe di poter trasformare a nostro piacimento anche il paesaggio mitologico dello stretto e di poter giustificare ogni intervento dell’acciaio e del cemento. Non c’è poi al mondo ancora un ponte a campata unica così lungo: quello di Akashi-Kobe è di circa 1.600 metri (circa la metà) e non ha la ferrovia. Dunque non ci sono altre prove che rendicontino le eventuali difficoltà tecniche, comprese quelle della resistenza dei materiali a 166mila tonnellate di ponte sotto tensione, vibrazioni e carico.
Infine, un geologo non può fare a meno di domandarsi per quale ragione si debbano spendere quei miliardi di euro per un ponte che insisterà su una rete infrastrutturale debolissima (quella sì da riformare), mentre solo 1/4 delle costruzioni di Reggio e Messina è attualmente antisismico. E lo stretto è il luogo del più potente terremoto mai scatenatosi finora sull’intero territorio nazionale.
Ma, soprattutto, il ponte è irrealizzabile, vista la nuova legge sugli appalti che vieta categoricamente ai privati di richiedere finanziamenti statali se, per caso, avessero calcolato male in fase di progetto. Anche perché è finito il tempo dei rialzi dei costi in corso d’opera (esplicitamente vietati con la nuova legge) è c’è l’obbligo di farsi carico del rischio d’impresa, come avrebbe sempre dovuto essere. Ciò significa che, per essere remunerativo e ripagato in 30 anni – il massimo consentito in Europa –, il ponte dovrà registrare almeno 100mila passaggi al giorno: e come si farà visto che ad oggi non si arriva neppure a 20mila? Oppure si dovrà far pagare il biglietto così caro (oltre i 70 euro) da rendere comunque preferibile qualsiasi altro passaggio.
L’Italia non ha bisogno di grandi opere meramente dimostrative, ma del minor numero di interventi possibile su un territorio già martoriato.
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