Collabora con Avsi da 15 anni. Per 6 anni in America latina, poi in Libano, Giordania e Siria. Andrea Bianchessi è da 7 mesi in Kenya per seguire le adozioni a distanza. «Un’esperienza bellissima ma forte, perché qui si vedono le diseguaglianze più profonde e le ingiustizie più intollerabili – dice in un traballante collegamento Skype – e d’altra parte si incontra gente con molta più voglia di vivere che nella stanca Europa».
Bianchessi parla dallo slum di Nairobi dove vivono ammassate in minuscole baracche di lamiera dalle 6 alle 8 persone su un pavimento di terra, senz’acqua e senza elettricità, asfissiati da un forte odore di fogna, in condizioni igieniche disastrose.
«Eppure, queste persone hanno comunque una dignità, hanno la loro cucina a carbone, la finestra, dividono la stanza a metà con una tenda, mettono un tavolino e sono ospitali, ci offrono il caffè, si vede che hanno un desiderio di dialogare e rapportarsi all’altro, si mettono i vestiti più belli. È commovente vedere con quale dignità vivono la loro miserevole condizione ». Bianchessi è lì per seguire gli interventi di adozioni a distanza sostenuti anche da Unicoop Tirreno grazie alla partecipazione dei soci.
«Pur essendo la capitale di un paese ricco, a Nairobi c’è un contrasto forte tra il centro della città e la miseria della periferia dove vivono 600mila persone nello slum più grande dell’Africa, dove la gente fa lavori informali, giornalieri e più che precari. Il Kenya è un paese “giovane”: 40 milioni di abitanti, di cui 25 hanno meno di 18 anni e 2 milioni di bambini non vanno a scuola. Il 60 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà in un contesto dove c’è la presenza di gruppi radicali legati ad al-Qaeda che recentemente hanno fatto una strage all’Università di Nairobi. «In questo disastro umanitario, noi ci occupiamo dell’ultimo miglio, cioè del bambino in modo concreto, dove i servizi pubblici dello Stato non arrivano: dunque grazie al sostegno a distanza e grazie alla Coop. I nostri educatori prendono il bimbo che non va a scuola e individuano un percorso personale a seconda del contesto familiare e della zona, gli trovano una scuola, possibilmente pubblica, per accedere alla quale bisogna avere l’uniforme, le scarpe, lo zainetto, i quaderni e i libri. Noi acquistiamo questi materiali, accompagniamo i bambini a scuola e poi rispondiamo ad altri problemi come la loro salute usufruendo di convenzioni con ospedali e centri medici. Poi il bambino cresce e quindi l’educatore lo invita a continuare gli studi perché l’istruzione è lo strumento migliore per fare un salto e trovare un lavoro. Rose, sostenuta da Unicoop Tirreno, ha 23 anni. Finito il sostegno qualche anno fa, dopo che ha completato le scuole superiori, ha fatto un breve corso di specializzazione. Ora lavora in un ristorante e quindi può mantenere il suo bambino. È un piccolo esempio tra migliaia di una vita davvero cambiata». In totale sono stati sostenuti 50 bambini in questi 10 anni. Attualmente sono una ventina. Variano dagli 8 ai 17 anni. Il sostegno in media può durare fino a 18 anni a partire dai 6-10 anni e finisce con la scuola superiore. «Per qualcuno riusciamo a ottenere la borsa di studio universitaria. Ma se il ragazzo non desidera proseguire gli studi, come nel caso di Rose, gli facciamo ottenere una qualifica professionale». Ogni anno 500mila giovani devono entrare nel mercato del lavoro. Chi ne resta fuori finisce a fare lavori informali, in agricoltura come bracciante, edile, operaio.
«Ai soci Coop, che ringrazio, dico che hanno la possibilità di aiutare dei bambini con nome e cognome, di instaurare con loro un rapporto e di seguirli in un percorso. Un ultimo messaggio: veniteci a trovare».