Secondo il Rapporto Rifiuti Urbani pubblicato ogni anno dall’ISPRA – Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – nel 2019 ogni italiano ha prodotto 499 kg di rifiuti, in linea con la media europea. Di questi circa il 61% sono stati differenziati, gli altri sono finiti in discarica o all’incenerimento. Le regioni del Nord sono un po’ più virtuose con quasi il 70% di differenziata, mentre il Sud arranca con il 50%.
Ma al di là delle statistiche il nodo della questione rifiuti è che ne produciamo comunque troppi – poco meno di 1 chilo e mezzo a testa al giorno –, e prima di pensare ad aumentare la quota di una corretta raccolta e del riciclo dovremmo cercare di ridurre questa quantità all’origine, là dove si forma: all’atto dell’acquisto dei prodotti. Personalmente cerco di scegliere oggetti con poco imballaggio, se possibile monomateriale (o tutta carta o tutta plastica); prediligo lo sfuso o le confezioni grandi, nel caso del cibo se non uso subito tutto il contenuto lo distribuisco in vasetti di vetro (anche questi riciclati!) da conservare in frigo. Evito le vaschette di plastica monoporzione, dove pesa quasi più l’imballaggio del contenuto e l’acqua in bottiglia di plastica: meglio quella del rubinetto. Quanto alla raccolta differenziata, oggi non è difficile separare vetro, lattine di alluminio e acciaio, carta e cartone, tutti materiali ben riciclabili.
Per la plastica la situazione è più complessa perché ce ne sono tanti tipi, alcuni facilmente riciclabili come le bottiglie di polietilene, altri meno come le pellicole o certi casalinghi. Solo una parte di questa plastica può avere una seconda vita, mentre la maggior parte viene comunque utilizzata come combustibile soprattutto nei forni delle cementerie. In ogni caso meglio lì che in mare, dove purtroppo tra oggetti galleggianti e micro frammenti assistiamo a una tragedia globale con i pesci ormai intossicati da una vera e propria zuppa di plastica, che alla fine arriva nel nostro piatto quando li peschiamo e li mangiamo.
Sulla plastica bisognerebbe introdurre un sistema di cauzioni che obbligasse a restituire il “vuoto” dei diversi materiali creando una filiera industriale virtuosa. Alla fine nella nostra pattumiera resta comunque una parte di secco non differenziabile che dovrebbe essere sempre più piccola a mano a mano che anche le case produttrici progetteranno oggetti smontabili in modo più agevole, riparabili e riciclabili. Però, l’obiettivo rifiuti zero è difficile da raggiungere, perché ci sono sempre alcuni materiali difficili da classificare: pensate, ad esempio, a quel malloppo indistinto quando si svuota l’aspirapolvere, composto da fibre tessili sintetiche, lana, cotone, capelli, polvere, smog e terra raccolta dalle nostre scarpe. Un discorso a parte merita l’umido di cucina: se avete un orticello o un giardino anche piccolo, fate il compost, ottimo concime per le vostre piante.