Visione d’insieme

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Come ripensare il modo di stare insieme nella scuola, sul posto di lavoro, in società. Ne parliamo con Enrico Parsi,direttore di Scuola Coop, a partire dal suo libro La classe.
di Aldo Bassoni

 

Scuola Coop è un luogo dove si fanno corsi di formazione anche se noi non amiamo definirci formatori, ma persone che si occupano di apprendimento. Un luogo di ricerca e di scambio, di confronto di buone prassi, un luogo dove si studia, si fanno ricerche e si prova a indagare problemi inediti con modalità inedite». Enrico Parsi, direttore di Scuola Coop, la cui sede troneggia sulle colline di Montelupo fiorentino, ha appena pubblicato un libro che parla proprio di questo. La classe, è il titolo del libro, «un libro sulle organizzazioni – spiega Parsi – e su come sia necessario ripensare i nostri modi di stare insieme a scuola, al lavoro, in società».

Perché questo titolo?
«Il titolo è legato innanzitutto alla scuola in quanto tale perché in questi ultimi anni assomiglia molto a un’azienda e paradossalmente le classi oggi sono costruite come lo erano nell’Ottocento, con un disegno analogo all’organigramma di un’organizzazione aziendale tradizionale. Si parte da lì per cercare di capire come possiamo reinterpretare le organizzazioni in una maniera più vicina alle esigenze umane. E poi La classe perché le differenze e le diseguaglianze sociali ed economiche si sono acuite». Qual è la tesi del libro? «Questa crisi non è solo economica ma è una crisi dei modi in cui stiamo insieme. Siamo abituati a pensare ai nostri comportamenti come frutto di storie e esperienze personali, invece in molti contesti i comportamenti individuali sono determinati da come è fatta l’organizzazione. In altre parole l’organizzazione condiziona i comportamenti nel bene e nel male: non c’è bisogno di essere malvagi per compiere delle cattiverie e non c’è bisogno di essere buoni per fare azioni solidali».

Come sono stati questi anni a Scuola Coop?
Forse i migliori della mia vita professionale anche per la qualità delle persone con cui lavoro e poi perché siamo riusciti a costruire un ambiente libero in cui riusciamo a fare cose che hanno il pregio di essere utili alle cooperative e nello stesso tempo ci permettono di incontrare colleghi di tutta Italia e in tutte le posizioni, studiosi, consulenti da cui scaturisce uno scambio molto proficuo».

Chi sono i cooperatori?
«I cooperatori sono quelli che scelgono, decidono e si assumono la responsabilità di cooperare e non di competere, il che significa andare contro corrente rispetto alle prassi economiche e aziendali tradizionali. Significa capire che la società è fatta di organizzazioni e se noi abbiamo contesti competitivi avremo società competitive. Cooperare oggi potrebbe significare ripensare gli spazi lavorativi, anche quelli fisici. Ripensare il senso dei sistemi valutativi e premianti. Significa mettere in discussione la stessa organizzazione funzionale che, come per le materie scolastiche rigidamente separate tra loro, prevede discipline professionali separate tra loro. Una cooperativa moderna non può più permettersi di separare il commerciale dal sociale, dal personale».

Che cosa sono le cooperative?
«Una bellissima realtà anche se non sono isole felici. Il loro modello è più evoluto di molte imprese private anche se a volte si ha la sensazione che una parte dei gruppi dirigenti pensino che in realtà siano un soggetto minore. Rispetto alla crisi attuale dovrebbero essere le cooperative a fare scuola nel mondo e non il contrario. Invece oggi si assiste al paradosso di grandi società di consulenza che, dopo aver fatto danni a volte irreversibili con modelli rigorosamente neoliberisti, sono state folgorate sulla via della cooperazione e girano il mondo a diffondere la buona novella. Su questo dovremmo essere un po’ più orgogliosi e contrastare logiche e politiche che non hanno niente a che fare con la nostra storia».

Che contributo dà Scuola Coop alla formazione di questa cultura?
«Scuola Coop cerca di contribuire costruendo percorsi di relazione e confronto, e in buona parte negli ultimi anni anche con la produzione di novità, idee e sperimentazione che emergono proprio da questi scambi con i colleghi, soprattutto dei punti vendita e della formazione. Da Scuola Coop passano circa 1500-1700 persone l’anno. Poi andiamo nelle cooperative, chiamati su singoli progetti».

Qual è stata l’esperienza più significativa?
«Il Contest, un concorso non molto competitivo – siamo alla quinta edizione – in cui vengono coinvolte persone sotto i 35 anni che non hanno ruoli di responsabilità nelle rispettive cooperative. A queste persone viene chiesto di proporre un’idea per Coop. Nell’ultima edizione sono state prodotte 85 idee. Poi si è arrivati alla formazione di 9-10 gruppi su altrettante idee-progetto e nell’arco di 8-9 mesi questi giovani hanno elaborato progetti accurati con business plan seri, che non hanno nulla da invidiare a quelli delle più blasonate società di consulenza. Alla fine vengono stilati progetti completi che le cooperative possono utilizzare tutti o in parte. Il Supermercato del futuro a Expo ha avuto origine proprio da un progetto vincitore del Contest che si chiamava Geocoop. Anche i punti ristoro Fior food a Torino e Degustocoop a Ravenna sono nati o sono stati influenzati dal Contest.

Ma Scuola Coop è anche altro.
«Certo. Promuove anche il coinvolgimento delle persone e l’accorciamento della distanza fra gruppi dirigenti e lavoratori, con una metodologia di lavoro che fa emergere la passione e unisce al rigore del risultato il piacere e il divertimento. Un modo per contrastare la tristezza che sembra dilagare, con la convinzione che se vogliamo aver un po’ di speranza nel futuro dobbiamo cambiare il presente ».