Capodarco è il nome di un paesino delle Marche, dove nasce la comunità di Fermo, idea di Don Franco Monterubbianesi. È il 1974 e poco più tardi viene dato il via anche alla Cooperativa sociale Agricoltura Capodarco, a Grottaferrata. Nel bel mezzo dei Castelli Romani, con un casale donato dalle suore francescane, dove si lavora la terra e se ne vendono i frutti secondo un progetto di inclusione sociale e integrazione lavorativa.
Sentirsi integrati
«A quei tempi la disabilità era perlopiù fisica – afferma Salvatore Stingo, responsabile della Cooperativa –. Oggi è soprattutto una disabilità mentale, ed è qui che arriva la Fondazione Capodarco “prima del dopo” che coinvolge quei ragazzi con genitori anziani in un percorso di emancipazione, attraverso la collaborazione con gli enti locali e altri organismi pubblici o privati». La Fondazione gestisce, fra l’altro, insieme alla Cooperativa sociale il pane e le rose, la casa famiglia Milly e Memmo. Parola d’ordine: inclusione. Infatti, la filosofia alla base della comunità Capodarco – ma forse è più corretto parlare di comunità al plurale, considerando le varie cooperative nate dall’idea originaria di Don Franco – ruota attorno all’inclusione sociale e lavorativa delle persone con disabilità. Per l’Agricoltura Capodarco il punto centrale è l’integrazione con le pratiche agricole. Inoltre, ci sono la casa accoglienza, un centro di formazione professionale, un laboratorio sociale, per un bacino di oltre un centinaio di persone.
Partecipazione alla comunità
48 sono al lavoro nelle diverse attività; 86 i ragazzi con disabilità accolti nei vari servizi diurni; 18 i disabili residenti, 6 gli studenti in alternanza scuola-tirocinio. «Ci sono anche un negozio e un ristorante – dice Stingo –, perché il concetto di inclusività è tutto per noi. Qui non ci sono luoghi chiusi, Capodarco è un posto aperto. Coltiviamo ortaggi, e produciamo vino, olio, miele. Il ristorante è sempre gestito da noi e ciascuno ha il compito che più si addice alle sue capacità e caratteristiche ». Tutto bene quindi? Eh, no. Perché la comunità di Roma, madre delle altre, è fallita. E ora ci sono i commissari, che devono venderne i beni e le proprietà. «Siamo una società strutturalmente separata, ma i nostri beni sono comunque intestati alla comunità madre – ci racconta Stingo –. Non avremmo mai pensato di doverci ricomprare la sede, ma è così. Dobbiamo trovare i soldi come acconto. Parliamo di 200mila euro. E poi pagheremo il resto (la valutazione è di 1,8 milioni, la Cooperativa ha proposto 1,5) con il mutuo. Perché il rischio è che qui vada a sparire tutto». Per questo è stata lanciata una campagna di sostegno alla quale tutti possono partecipare, affinché questa realtà non vada a sparire. ❚
Info crowdfunding
Alla pagina www.produzionidalbasso.com/project/salviamolanostrafattoria è possibile aderire alla campagna per aiutare la Cooperativa sociale Agricoltura Capodarco con una donazione libera.
Carta d’identità
L’impegno sociale di Don Franco Monterubbianesi.
Nato a Fermo nel 1931, entra in seminario nel 1951. Ordinato sacerdote 5 anni più tardi, dopo essersi laureato, insegna storia e filosofia al seminario di Fermo e religione all’istituto “Montani”. Nel 1966 fonda la comunità Gesù risorto che guiderà fino al 1994. Dal 1974 dirige, invece, la Comunità di Capodarco di Roma; nel 1982 fonda anche il movimento Ritorno alla terra e nel 1996 l’associazione Ragazzi nel mondo. Lo scorso 4 luglio ha ricevuto a Casal di Principe il premio Don Peppe Diana per il suo impegno sociale. È lui Don Franco Monterubbianesi