Troppo sintetico

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5 Aprile 2021
Oltre alla plastica usa e getta, fibre microplastiche che si liberano dai nostri abiti, non biodegradabili. Peggio per noi e per l’ambiente.

Articolo pubblicato su NuovoConsumo del mese di gennaio 2021

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di Luca Mercalli

 

70 anni fa arrivarono i piatti di plastica, oggi siamo arrivati alla plastica nel piatto. Con la diffusione dei materiali plastici usa e getta, imballaggi soprattutto, e con le fibre sintetiche derivate dal petrolio (poliestere e nylon), con cui confezioniamo abiti, tessuti e un’enormità di oggetti domestici e industriali, abbiamo riempito l’ambiente di residui non biodegradabili in grado di intossicare la vita e la nostra salute. Dal 1950 a oggi sono stati prodotti oltre 8 miliardi di tonnellate di plastica e buona parte di questa è andata dispersa nell’ambiente, in mancanza di sistemi di raccolta e di riciclo.

La plastica è versatile, leggera, igienica e a basso costo. Però, come scrisse Primo Levi che era un chimico, “è un po’ troppo incorruttibile”, così ce la ritroviamo accumulata nei mari e nei suoli. Dopo un po’ di tempo, sotto l’azione della luce solare, tende a frammentarsi in particelle sempre più piccole e invisibili, che si diffondono ovunque ed entrano nella catena alimentare: le microplastiche sono state trovate nella pioggia, nella neve delle zone artiche e sui ghiacciai alpini e nelle acque oceaniche, nei pesci, negli uccelli. Si stima che in Europa ogni anno entrino nell’ambiente marino tra le 200mila e le 500mila tonnellate di fibre microplastiche da tessuti. Quando le mangiamo insieme al cibo, trasportano nel nostro Troppo sintetico corpo sostanze tossiche come bisfenoli, ftalati e altri additivi. Se per la plastica degli imballaggi la soluzione sta nella riduzione del suo uso e nella scrupolosa raccolta differenziata, per le microfibre che si liberano dai nostri abiti, collants, abbigliamento sportivo, tende, lenzuola e tappeti in materiali sintetici, è tutto più difficile, in quanto non le vediamo. I filtri delle lavatrici hanno maglie troppo larghe, attraverso le quali ne sfugge la maggior parte, e anche certi nuovi sacchetti-filtro in cui si mettono i capi sintetici destinati al lavaggio, pur essendo a maglie più fini, non sono ancora in grado di trattenere tutte le particelle: si limitano a intercettare quelle più grandi, visibili anche a occhio nudo, che poi si asportano a mano per smaltirle nei rifiuti. Per tentare di ridurre la dispersione delle microplastiche nelle acque di lavaggio abbiamo poche possibilità: prediligere capi in fibre naturali biodegradabili, fare lavaggi un po’ meno frequenti, non utilizzare la centrifuga a elevate velocità. Ma è chiaro che la soluzione a questo ennesimo problema ambientale va trovata a monte e a valle dell’utente: in fase di concezione delle fibre sintetiche, per limitare la formazione di micro frammenti o renderli biodegradabili, e in fase di depurazione delle acque reflue con nuove tecnologie di separazione di questi residui subdoli e ancora non normati dalla legge. Intanto l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha da poco pubblicato lo studio Plastic in textiles: towards a circular economy for synthetic textiles in Europe che analizza l’impatto ambientale dei tessuti sintetici e propone alcune vie da seguire per ridurli, in un’ottica di economia circolare. Un primo passo.