Strategia complementare

  Aggiungi ai preferiti
Il meccanismo della previdenza complementare ci permetterà sul serio di percepire una pensione più abbondante?
di Pompeo Della Posta

Il sistema pensionistico è ormai passato dal sistema retributivo a quello contributivo: la nostra pensione dipende cioè da quello che abbiamo accantonato negli anni. Inoltre, il ritardo nell’accesso al lavoro, la riduzione dei salari (e quindi dei contributi versati) e l’allungarsi della speranza di vita hanno, da un lato, ritardato il momento della pensione e, dall’altro, ne hanno ridotto l’importo.
È per questo che accanto alla previdenza obbligatoria, che opera attraverso l’Inps, è stata introdotta la possibilità di una previdenza complementare (il “secondo pilastro”, come enfaticamente viene definita) che dovrebbe permettere di aumentare l’entità delle nostre pensioni. La moltiplicazione dei pani e dei pesci, però, non riesce a molti ed è necessario quindi sforzare la fantasia,anche se l’impressione è che la coperta rimanga comunque corta. Facendo un calcolo a spanne (ignorando gli effetti di capitalizzazione dei tassi d’interesse, facilmente erosi, però, dai costi di gestione dei fondi) si può capire che per poter godere di una pensione aggiuntiva, per esempio, di 300 euro al mese per 20 anni, si dovranno versare circa 200 euro in più per 30 anni: ma se un giovane è precario fino a 40 anni e anche dopo avrà un basso stipendio, dove li troverà quei 200 euro di contributi aggiuntivi?
Allora, ecco il tentativo di moltiplicare pani e pesci: perché non trasformare il trattamento di fine rapporto in una rendita mensile? Per rendere la cosa più interessante si dà un incentivo fiscale al lavoratore e si chiede al datore di lavoro di contribuire, aggiungendo anche lui una quota.

Comunque tutto bene fin qui (forse), se non fosse che poi i fondi raccolti dai lavoratori li si vorrebbe affidare al rischio dell’andamento dei mercati finanziari, nella speranza di aumentare l’importo della pensione finale. Ma siamo certi che valga la pena correrlo, quel rischio?