Pieno di sé

  Aggiungi ai preferiti
Dalla fisica quantistica all’astrofisica torna alla ribalta il vuoto, che ci dice qualcosa su come funzionano la natura e l’universo. Perché, pieno com’è di particelle in potenza, non è vero che non serve a nulla.
di Patrice Poinsotte

«Lo metto sottovuoto?», chiede il formaggiaio prima di incartarti un pezzo di pecorino o un trancio di - prosciutto quando gli hai detto che il viaggio di ritorno a casa non sarà breve. Domanda standard dalla risposta scontata – certo che sì, per conservarli belli freschi –, ma che rimanda a due o tre questioni dagli esiti meno ovvi: che cos’è il vuoto? Esiste davvero? E se esiste, come caratterizzarlo: assenza di materia, niente, vacuità? Dipende dal punto di vista: formaggiaio, filosofo, ingegnere, fisico, tutti ne parlano ma ciascuno a suo modo, perché la definizione non è per niente chiara, come insegna la scienza moderna sempre più interessata a colmare il vuoto sull’argomento.

Sottovuoto

«Quello che rimane quando tutto è stato tolto», davvero un bel guaio, come spiega l’astrofisico vietnamita Trinh Xuan Thuan di recente ospite della trasmissione letteraria francese La grande librairie per presentare il suo ultimo libro La pienezza del vuoto: «il vuoto esiste e non è il niente, ma un’assenza di materia in uno spazio definito, che può essere l’intero universo». Insomma per fare il vuoto bisognerebbe levare assolutamente tutto, tranne il vuoto. Da cui la domanda: che cosa dobbiamo includere in questo “tutto”? Questione di densità e di pressione, in sostanza di numeri; o meglio di calcoli che vedono la materia come l’unica in grado di riempire il vuoto. Così la vedono gli ingegneri: la materia presente o no all’interno di un recipiente. Fare il vuoto consisterebbe allora nello sgombrare un contenitore di tutta la sua apparente sostanza, cioè fargli raggiungere una densità (che si misura in chilogrammi al metro cubo) pari a zero. Un’operazione questa tutt’altro che insignificante perché pressione e temperatura sono direttamente collegate alla densità tramite la legge dei gas perfetti: diminuirla abbassa, secondo la formula matematica, sia la temperatura che la pressione. E tutto ciò ha degli effetti secondari ben conosciuti dal nostro formaggiaio alle prese col sottovuoto: uno schiacciamento della confezione. Passare dal pieno al vuoto non significa quindi soltanto svuotare un contenitore della sua sostanza, ma anche avere delle pareti in grado di contrastare l’enorme differenza di pressione tra il dentro e il fuori. Perché c’è di mezzo niente meno che la pressione atmosferica sulla Terra che corrisponde ad una massa di circa 10 tonnellate al metro quadrato (un “peso” che la costituzione umana regge solo perché ce n’è uno equivalente all’interno del corpo).

Realtà virtuale

Ora facciamo un salto nel vuoto dell’infinitamente piccolo. Per la fisica quantistica che se ne occupa non è solo una questione di numeri. A questa scala, infatti, gli oggetti non sono né particelle né onde, ma dei campi quantistici, ed è solo quando vengono eccitati, cioè quando ricevono energia a sufficienza, che vediamo apparire la materia. Se invece non ne ricevono abbastanza per materializzazrsi, allora siamo in presenza del vuoto, e non è una contraddizione in termini. Un vuoto pieno di particelle in potenza, direbbe Aristotele, che i fisici teorici chiamano virtuali. Proviamo a capire meglio con l’esempio del pendolo. Visto in maniera classica, un pendolo immobile non ha energia, si trova cioè nel suo stato fondamentale; per la quantistica, invece, rimarrà per sempre una briciola di oscillazione che la fisica ha deciso di chiamare “vuoto”. Altro che nulla: il vuoto così inteso è uno stato particolare della materia, addirittura «l’attore principale della storia della materia e dell’universo – chiarisce Trinh Xuan Thuan –, il partner privilegiato della fisica moderna per la quale vuoto e materia non sono più due manifestazioni separate della natura bensì aspetti della stessa realtà in cui la materia è solo una manifestazione di come si organizza il vuoto quantistico». Un po’ come quando siete su una barca a pelo d’acqua: il contenuto del mare è sotto la superficie, invisibile ai vostri occhi perché la forza di galleggiamento è troppo bassa, ma se potesse innalzarsi si vedrebbe apparire il mondo sottomarino.

Horror vacui

Ecco, il vuoto è pieno. Pieno di un’energia impossibile da togliere, secondo le teorie moderne della fisica. Il semplice fatto di avere, per esempio, un campo elettromagnetico, ossia della luce, dimostra che anche uno spazio sprovvisto di materia non è vuoto. E c’è di più: nel vuoto risiede una forza, teorizzata nel 1948 dal fisico olandese Hendrik Casimir, che tende ad avvicinare due lastre non elettricamente caricate piazzate nel vuoto (sarà la famosa energia oscura di cui parlano i cosmologi?). Energie nascoste nel vuoto quantistico che numerosi laboratori di ricerca hanno osservato e misurato, confermando la famosa frase del filosofo Roger Bacon: «la natura ha orrore del vuoto». Una frase che, a quei tempi, ha portato a considerare l’horror vacui come una vera e propria forza. Così lo interpreta la natura: tappare i buchi o colmare i vuoti significa ricercare sempre l’equilibrio. Vi siete mai chiesti che cos’è il vento? Una reazione naturale dell’atmosfera sempre alla ricerca, appunto, del suo equilibrio. Einstein l’aveva detto alla sua maniera: «gli oggetti fisici non sono nello spazio, bensì sono spazialmente estesi. In tal modo il concetto di spazio vuoto perde il suo significato». Comunque non è perché il vuoto è pieno che il formaggio messo “sottovuoto” andrà a male nel viaggio di ritorno.