L’esempio di rilevanza europea del Biotecnopolo di Siena raccontato da Rino Rappuoli, microbiologo tra i più influenti a livello mondiale nel settore dei vaccini, che ricorda anche il contributo di Coop con la campagna Sosteniamo la ricerca oggi per tornare più vicini domani.
Anche se il desiderio di tutti è quello di non rivivere più i momenti che abbiamo passato a causa del Covid, gli esperti non escludono che in futuro possano diffondersi pandemie di nuovi virus e batteri pericolosi per la salute.
«L’unica soluzione è farsi trovare preparati – spiega Rino Rappuoli, uno dei maggiori scienziati al mondo nello sviluppo dei vaccini – grazie alla ricerca scientifica di altissimo livello che porteremo avanti nel Biotecnopolo di Siena». Una Fondazione di diritto privato, con la partecipazione di 4 Ministeri, una dotazione di 21 milioni di euro per il biennio 2022-23, 16 milioni l’anno da quello successivo e 340 milioni del Pnrr da spendere entro il 2026.
Sembrano tanti soldi…
«Se si considera che gli Usa destinano 180 milioni di dollari l’anno a un istituto equivalente, non sono poi così tanti. Fare ricerca costa, ma spendere per la salute dei cittadini è il miglior investimento che si possa fare. Gli economisti hanno calcolato che l’investimento di 12,5 miliardi di dollari fatto dagli Stati Uniti per accelerare lo sviluppo dei vaccini sia stato ripagato in sole 12 ore, poiché in quel periodo il costo della pandemia per la collettività era di 900 miliardi di dollari al mese. È difficile pensare a altri investimenti con un ritorno simile».
Che centro sarà quello di Siena?
«Un luogo di rilevanza europea dove si farà ricerca sia per la formulazione di vaccini che di altri farmaci in risposta a possibili pandemie. Dobbiamo essere pronti, cosa che non è successa quando è arrivato il Covid. In Italia non siamo riusciti a sviluppare un nostro vaccino e l’anticorpo monoclonale che avevamo scoperto a Siena, più potente di quelli fino ad allora sviluppati, non è giunto al termine della sperimentazione perché il Paese era impreparato e abbiamo impiegato troppo tempo a fare le prove cliniche».
Perché Siena?
«Per la lunga tradizione di ricerca nelle scienze della vita e perché già avevamo avviato un lavoro importante in questa direzione, anche grazie al contributo di Coop che, con la campagna Sosteniamo la ricerca oggi per tornare più vicini domani , ci ha permesso di raccogliere i fondi per inaugurare il laboratorio di livello 3 per la sicurezza e il contenimento dei patogeni».
Il Covid fa ancora paura? E da quali altri patogeni dovremo proteggerci in futuro?
«I vaccini ci hanno aiutato a contrastare efficacemente la pericolosità delle nuove varianti. Ma oltre al Covid, l’Oms ha calcolato 30 famiglie di virus potenzialmente pericolosi per sviluppare delle pandemie, senza trascurare quella dovuta alla resistenza agli antibiotici di alcuni batteri, sui quali al Biotecnopolo stiamo già lavorando».
Possibilità di cura
Molti le ignorano, ma le cure per il “lungo Covid” ci sono.
Anosmia (perdita dell’olfatto) e ageusia (perdita del gusto) sono stati fra i sintomi caratteristici delle prime ondate del virus: si stima che abbiano riguardato 4 pazienti su 10 dei contagiati da Covid.
Per molti si è rivelato un disturbo passeggero, per altri il problema è durato a lungo, per qualcuno non si è risolto. Ci aiuta a fare chiarezza Stefano Pallanti, studioso di neuroscienze, professore della Stanford University in California e fondatore dell’Istituto di Neuroscienze di Firenze, che ha curato uno studio su quella sorta di nebbia che impedisce a molti fra i guariti dal Covid di concentrarsi e ricordare come prima del contagio (brain fog).
«Gli studi hanno dimostrato che il virus colpisce a livello del sistema nervoso centrale e che i disturbi provocati dalla risposta immunitaria possono protrarsi per lungo tempo; per questo motivo i pazienti dopo molti mesi continuano a dire di essere affaticati o di non sentire gli odori, di non riuscire a concentrarsi o di avere il tinnitus, il ronzio nelle orecchie, l’acufene, solo per citare alcuni dei disturbi più comuni. Qualcuno li accusa di esagerare, ma in realtà molte ricerche internazionali hanno dimostrato che il Covid comporta effetti a lungo termine». Inoltre, la sensazione che molti hanno è che questo virus abbia sollecitato i punti deboli di ciascuno.
Parlando con Pallanti emerge che è davvero così: «Si è visto che, come è tipico dei coronavirus, anche il SARS-CoV-2 è autoimmunogeno, ha cioè la capacità di rileggere la storia del paziente e di riattivare virus latenti, la mononucleosi, ma anche la psoriasi e altri disturbi correlati a una risposta immunitaria eccessiva che porta dunque a una condizione infiammatoria.
Basta fare dei semplici esami del sangue per dimostrarlo». Ma una volta scoperta questa correlazione che succede? Dovremo rassegnarci? «Una volta scoperto il meccanismo che provoca il disturbo, diventa possibile trovare la cura. Nel mondo si stanno pubblicando numerosi studi e abbiamo visto che sostanze come Pea (palmitoiletanolamide), N-acetilcisteina, Glutatione, già in uso ma con indicazioni terapeutiche diverse, possono dare dei buoni risultati. Così come l’Echinacea o la Centella, completamente vegetali, che agiscono a livello antinfiammatorio».
E chi non sente più gli odori? «Abbiamo visto che la fotobiomodulazione (luce laser o led che sfrutta i benefici della luce rossa per stimolare la capacità delle cellule di autoripararsi, ndr) in molti casi risolve il problema».
Non resta che provare e informare chi non lo sa che l’olfatto perso per il Covid si può ritrovare.