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Comunitario, cooperativo, collaborativo. Il modello economico che vogliono gli italiani, secondo i dati di Swg.
di Aldo Bassoni

«L’Italia vuole ripartire. Vuole vedere gli effetti del vento di cambiamento. Vuole sentirsi diversa, dinamica e meritocratica, ma non intende tornare al capitalismo rampante, iperfinanziarizzato e profittatore». Parola di Enzo Risso, direttore scientifico di Swg, che ci consegna un ritratto degli italiani ormai a corto di pazienza e non più disposti ad aspettare quel cambiamento fin troppo annunciato ma ancora lontano da venire. «La crisi ha lasciato il segno nella coscienza degli italiani – prosegue Risso riferendosi all’indagine presentata alla Biennale della Cooperazione che si è svolta a Bologna il 7, l’8 e il 9 ottobre scorsi –. La società attuale è ritenuta bloccata, appesantita dall’incedere di corporazioni e lobby tutte intente a tutelare i propri interessi e profitti».

Ma cosa vorrebbero gli italiani? A quale paradigma economico pensano? «Una buona parte, il 64 per cenintervista to vorrebbe un modello economico che, pur rimanendo nell’alveolo capitalistico, sia contraddistinto da pulsioni eque, da giustizia sociale e da un’ambizione di crescita armonica. Per la maggioranza relativa dell’opinione pubblica (40 per cento), l’economia del futuro dovrebbe essere contrassegnata da una forte impronta comunitaria, cooperativa, collaborativa. Al centro di questo nuovo paradigma non c’è solo la sharing e la green economy, c’è, soprattutto il bisogno di un modello di fare impresa capace di mettere insieme persone, talenti, volontà e giustizia sociale: un modello cooperativo».

Questo vuol dire che c’è ancora tanta voglia di cooperazione? «Intendiamoci, gli scandali, le vicende di corruzione, i fallimenti che hanno coinvolto alcune cooperative, non sono passati indenni. La fiducia nelle cooperative, nel corso del 2015, era scesa velocemente. La capacità di reazione della cooperazione sia nell’isolare e colpire i corrotti che nel gestire crisi e cadute, ha invertito la dinamica discendente. In un paese in cui recuperare fiducia è un’impresa titanica (si pensi all’esempio delle banche che dal 45 per dei tempi d’oro d’inizio anni Duemila oggi ristagnano intorno al 10 per cento di fiducia), le cooperative hanno dimostrato di avere la forza, l’energia e il dinamismo per invertire la rotta. Infatti, nel corso dell’ultimo anno l’indice di fiducia è passato dal 43 al 50 per cento».
E alle imprese di capitale com’è andata? «Contemporaneamente il livello di affidabilità riconosciuto alle imprese di capitale è apparso in flessione, scendendo dal 43 al 41 per cento. Le imprese cooperative, inoltre, sono ritenute utili per lo sviluppo del paese dal 69 per cento degli italiani e, per il 63 per cento, rappresentano un modello di economia giusta e un modello di fare impresa che ha contribuito, in questi anni bui, a mitigare il disagio sociale e il declino economico dell’Italia».

Alle cooperative viene riconosciuto un ruolo positivo, dunque. Ma quali sono le prospettive? «La ripresa di dinamismo apre, per il movimento cooperativo sia in termini di funzione economica che di ruolo. La prima sfida è di riposizionamento all’interno del quadro attuale. Essa significa pensarsi e percepirsi come imprese protagoniste del cambiamento del paese e dello sviluppo di una nuova stagione di armonia sociale ed economica. La seconda sfida coinvolge il futuro e la capacità di diventare attori di un nuovo paradigma economico, che convoglia le spinte della sharing e della condivisione di beni e servizi verso un modello di economia comunitaria, cooperativa, trasparente».
Un’economia anche più democratica? «Certo. Un’economia che non lascia potere e risultati economici in mano alle nuove multinazionali della rete, ma concentra il potere di scelta e i benefici economici sulle persone protagoniste delle diverse iniziative economiche. La terza sfida coinvolge l’economia 4.0 e la capacità delle cooperative di diventare un modello di crescita in cui innovazione e robotica generano benessere organizzativo e lavorativo e non nuova marginalità sociale. Quarto tema riguarda il futuro e la capacità di essere vettore di una nuova stagione di crescita e opportunità per le persone: in una parola, uno strumento riattivatore dell’ascensore sociale».

E la quinta sfida? «È quella che riguarda il delicato campo dell’etica in economia, con la possibilità delle cooperative di essere un modello sobrio, efficiente ed equilibrato di fare impresa. Ultima sfida è quella che riguarda la generazione di una classe dirigente, impegnata sul futuro del paese e sullo sviluppo continuo e permanente del modello cooperativo. In sintesi, l’insieme delle sfide per il movimento cooperativo trova sintesi in quello che possiamo chiamare l’impegno a cambiare l’Italia... cooperando».