La chiamano la città rossa, visti i chilometri quadrati di pietra arenaria impiegata in città. Quando, però, si arriva in Jamaa el Fna, la sterminata piazza intorno a cui si sviluppa la medina, il rosso si perde nei mille colori dell’anima di Marrakech, che converge in questo grande fazzoletto di terra.
Colori assortiti
I colori che colpiscono, più di quelli dell’architettura, emergono da una bizzarra babele umana fatta di venditori d’acqua, “cavadenti” e incantatori di serpenti che, al calar del sole, lasciano il posto a musicanti e cantastorie, come le bancarelle lo lasciano alle panche e ai banchetti per la cena all’aria aperta. L’Unesco ha deciso di proteggere non tanto la piazza in sé, ma l’attività umana che vi si svolge, dichiarandola patrimonio orale e immateriale dell’umanità, il che fa capire quanto Jamaa el Fna non sia il classico luogo a marchio Unesco appannaggio dei turisti. La calamita della piazza è sul versante nord, da dove si sviluppa il suk verso cui noi occidentali siamo immancabilmente attratti: mentre si contratta coi venditori sorseggiando il tè alla menta da loro offerto, già si pensa a come imbarcare in stiva quel tappeto berbero, quella pentola in rame o quella borsa in pelle cucita a mano. Ma i locali sostengono che qui è bene farsi un’idea del comprabile per poi, però, fare acquisti nella zona industriale.
Dentro l’acqua
Di banchetto in banchetto si arriva alla Madrasa di Ben Youssef, la più grande scuola coranica del Marocco. L’edificio è visitabile ed è bellissimo, con il suo cortile centrale su cui si aprono le vecchie cellette degli studenti, la sala della preghiera ricca di stucchi e intagli e il grande bacino per le abluzioni. La funzione purificatrice dell’acqua è un tratto distintivo del paese e vale per l’anima, ma anche per il corpo, soprattutto se unita a generose dosi di sapone nero marocchino, ingrediente imprescindibile di ogni hammam che si rispetti. Vietato tornare a casa senza averne visitato uno; la scelta dipende da quanto siamo disponibili a rinunciare alla comodità a cui le Spa nostrane ci hanno abituati, in favore di un’esperienza più autoctona. Se nella famosa diatriba tra turisti e viaggiatori voi vi schierate tra i secondi, preparatevi ad essere separati dall’altro sesso e adagiati a terra senza tante moine, e abbandonatevi alle mani rudi di massaggiatrici corpulente, con la comunicazione affidata unicamente al corpo, perché la mente non decifra alcun suono linguisticamente noto. All’uscita, belli puliti e di nuovo per mano alla vostra dolce metà, vi sembrerà che le strade di Marrakech siano casa vostra.
Davvero speziale
La cucina marocchina al profumo di spezie.
Al solo pensare al Marocco sembra di sentire nel naso un intrigante profumo di spezie. Seduti davanti a un tajin – nome sia del piatto in cui vengono cotti gli ingredienti che della pietanza stessa – distinguerle è difficile: spesso si tratta di preparazioni di ras el hanout, una miscela che include cenere di frutti di bosco, peperoncino, pepe del monaco e curcuma. La variante cittadina del tajin è la tanjia, un piatto locale preparato con carne e spezie, cotto a fuoco lento in un forno tradizionale a cenere calda. Si narra che lo cucinino solo gli uomini: la leggenda racconta che la prima tanjia sia stata la risposta di un uomo alla moglie che lo accusava di non sapersi districare in cucina.