Potrebbe sembrare fantascienza, ma accade davvero: gli spinaci stanno diventando bionici.
Non quelli destinati all’alimentazione ovviamente. Nelle foglie di alcune piante di spinacio vengono inseriti dei nanotubi in carbonio, che le trasformano in sensori capaci di rilevare eventuali esplosivi nel terreno. All’esperimento lavorano gli ingegneri del Mit (Massachusetts Institute of Technology) di Boston. Gli spinaci hi-tech, che assorbono i composti nitroaromatici degli esplosivi, emettono un segnale fluorescente. Questo viene letto da una camera a infrarossi collegata a un mini computer, che invia una e-mail di allerta. Tutto questo è possibile perché lo spinacio ha la capacità di “sentire” cambiamenti nella terra anche in solo 10 minuti, quindi gli scienziati ne sfruttano le caratteristiche naturali. Ma se la pianta è così sensibile a quanto assimila dal terreno, deve farci riflettere su quanto è importante per chi li mangia che gli spinaci crescano in un habitat incontaminato.
Ben piantati
Infatti sono una buona fonte di carotenoidi, vitamina C, clorofilla, luteina e acido folico, un insieme di benefici micronutrienti che potenziano le proprietà antiossidanti. Ecco il motivo per cui sono un cibo molto importante per il benessere degli occhi e sono un valido alleato per le donne in gravidanza, per l’azione protettiva nei confronti delle patologie coronariche e per chi soffre di aterosclerosi. In più hanno zero colesterolo e pochissime calorie (30 per 100 grammi da crudi).
Però c’è un però.
Essendo una pianta molto sensibile a ciò che assorbe con le radici, è dunque importante sapere dove viene coltivata. Non a caso tra gli spinaci più apprezzati ci sono quelli della Val di Cornia. Si riconoscono dal colore verde inteso, dalle foglie che presentano un lembo triangolare (liscio o rugoso), dall’odore delicatissimo. Dopo la cottura hanno una bella consistenza spugnosa per cui sono perfetti ripassati in padella o per riempire torte rustiche.
Mano a mano
«Per me il massimo lo danno se usati nella farcia dei ravioli», afferma Roberto Baldassarri che appunto in Val di Cornia insieme a sua moglie Patrizia e ai suoi genitori gestisce una piccola azienda di produzione di ortaggi. Roberto è la terza generazione di agricoltori imprenditori e segue la strada tracciata oltre cinquanta anni fa dal nonno Gino. Coltivano un appezzamento di 15 ettari, di cui 10 piantato a spinaci e raccolgono a mano (la raccolta si effettua manualmente recidendo la piantina) circa 100 quintali di spinaci per ettaro, in un periodo che va da novembre a marzo. Ci parla di un «mestiere bellissimo, che si fa a contatto con la terra, respirando la brezza del Mar Tirreno e conoscendo i ritmi della natura. Anche se – ammette Roberto –, conoscere l’alternarsi delle stagioni non basta, perché di fronte ad alcuni fenomeni atmosferici si è impotenti. Per esempio, una grandinata di una notte può rovinare la fatica di mesi e mesi, ma così vanno le cose. Ma, anche se a volte c’è il rischio di demoralizzarsi, resta un mestiere da amare».