Legami di sangue

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13 Giugno 2018
Uno dei sistemi trasfusionali pubblici e gratuiti meglio organizzati al mondo e un nutrito popolo di donatori rendono l’Italia quasi del tutto autosufficiente in materia di sangue. Ma per non scendere sotto il livello di guardia e far fronte a un’impennata di richieste nel periodo estivo, le associazioni di volontariato chiamano a raccolta, soprattutto i giovani. Perché la donazione è un atto d’amore e di responsabilità verso gli altri e verso sé stessi.
di Barbara Autuori

Volontaria, periodica, responsabile, anonima e gratuita. La donazione del sangue umano e dei suoi componenti in Italia non può e non vuole prescindere da queste fondamentali caratteristiche tanto da essere messe nero su bianco dal legislatore con la legge n. 219 del 2005 Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati. Una normativa che ha ridisegnato il sistema nazionale delle attività trasfusionali sia in termini di obiettivi che di strumenti organizzativi. «Il nostro è un sistema quasi unico al mondo e con quest’ultima legge si è riconosciuto un ruolo chiave anche alle maggiori associazioni di volontariato che da decenni operano in questo ambito», conferma Alberto Argentoni, presidente nazionale AVIS (Associazione Volontari Italiani del Sangue).

Analisi dei numeri
Con circa 1.300.000 associati, 3.400 sedi territoriali e una raccolta annua di oltre 2.000.000 di unità di sangue e suoi derivati, AVIS garantisce circa l’80% del fabbisogno nazionale. Insieme a Fratres, Croce Rossa Italiana e Fidas, le altre associazioni citate nella legge, il Centro nazionale sangue (organismo del Ministero della Salute che opera presso l’Istituto Superiore di Sanità)ha creato una rete organizzativa su base territoriale che punta a non far mancare mai il sangue in nessuna regione. «A livello nazionale – prosegue Argentoni – c’è autosufficienza sui globuli rossi in tutte le regioni ad eccezione della Sardegna per l’elevato tasso di talassemici e del Lazio che soffre, invece, un sistema di raccolta e distribuzione non ancora ben funzionante, soprattutto a Roma e provincia. Nel caso del plasma l’autosufficienza riguarda più della metà delle regioni, ma non tutte». Una carenza che si è leggermente ampliata nello scorso mese di marzo. Secondo il monitoraggio del plasma effettuato dal Centro nazionale sangue, infatti, si registra uno 0,4% in meno di sangue raccolto rispetto allo stesso periodo del 2017. Un dato confermato da Adelmo Agnolucci, presidente AVIS Toscana, dove le donazioni sono scese a 112.727 unità con un decremento di circa l’1,2%. «Seppure in leggera ripresa nell’Area Vasta Sud Est – rileva – la situazione resta stazionaria nell’Area Vasta Centro e ancora critica nell’Area Vasta Nord Ovest». Numeri non allarmanti per ora ma che rispecchiano la situazione nazionale. «Negli ultimi anni il calo ha riguardato un po’ tutti i territori. Tuttavia nel 2017 c’è stata una sostanziale tenuta che fa sperare in un’inversione di tendenza», sottolinea Christian Basagni, funzionario Consociazione nazionale Fratres. Una risalita tanto più necessaria adesso con l’avvento della stagione estiva che fa sempre registrare un’impennata nella richiesta di sangue soprattutto a causa dell’incremento degli incidenti stradali, dei virus veicolati dalle zanzare, dei tanti incendi stagionali con i grandi ustionati bisognosi di molte trasfusioni. Si aggiungono poi le ferie dei donatori periodici e il caldo spossante che riduce le possibilità di donare.

 

Chiamare a raccolta
«Con il risultato che, nonostante le scorte, può capitare che non ci sia sangue “fresco” per quei pazienti affetti da malattie che richiedono trasfusioni periodiche» interviene Valentino Orlandi, presidente di United Onlus che rappresenta circa 4mila pazienti affetti da talassemia, drepanocitosi e anemie rare. Patologie croniche per le quali sono necessarie da 1 a 3 sacche di sangue ogni 15/20 giorni. «I circa 7mila pazienti talassemici rappresentano tra il 10 e il 15% del consumo nazionale di sangue – continua Orlandi – e anche se il sistema trasfusionale italiano è già molto avanzato, per evitare che ci siano dei vuoti è fondamentale lavorare sulla programmazione e sulla sensibilizzazione dei più giovani». Per incrementare la raccolta di plasma il Cns ha predisposto il Piano Nazionale Plasma 2016-2020: componente preziosissima perché da essa si ricavano farmaci (plasmaderivati appunto) necessari per molte patologie. Un iter i cui costi di lavorazione sono completamente a carico dello Stato. «Per aumentare la quantità di plasma raccolto – riprende Argentoni – si sta cercando di incentivare la donazione via aferesi che, attraverso macchinari specifici, consente di prelevare dal sangue gli emocomponenti desiderati come il plasma e le piastrine restituendo al donatore i globuli rossi». Il vantaggio è doppio: il donatore non viene impoverito del ferro e la donazione è ripetibile con più frequenza perché plasma e piastrine si rigenerano ogni 14 giorni. Notevoli passi avanti nell’ottimizzazione dell’utilizzo del sangue raccolto si sono fatti grazie al Patient Blood Management (PBM), modello di gestione del sangue per trasfusione per cui l’Italia, capofila in Europa, è stata premiata lo scorso aprile come il paese in cui questo protocollo è stato recepito, integrato e sviluppato meglio. «Grazie al PBM – sottolinea Basagni – oggi si danno al paziente solo gli emocomponenti di cui necessita e una sacca di sangue è utile a più persone. Un risultato importante ma che non basta se non si può contare su un consistente ricambio generazionale tra i donatori»

 

 

A fin di bene
Una chiamata a raccolta che si alza da tutte le associazioni all’unisono: «L’età media dei donatori storici si sta alzando e bisogna lavorare sui più giovani affinché capiscano l’importanza di andare a donare in maniera regolare». Le prime spinte in tal senso le danno la famiglia donatrice e il contesto culturale nel quale si cresce. «Il retroscena etico-culturale italiano è fortemente impregnato di spirito di solidarietà e la donazione di sangue ne è un punto fermo», afferma lo psicologo Paolo Guiddi, autore di Quando uno vale due (La Scuola Editore 2013, pp. 192, euro 12), testo nato dalla pluridecennale collaborazione con diverse sezioni AVIS. «Le principali motivazioni che spingono i ragazzi a donare sono l’educazione e i valori di riferimento familiare, la conoscenza del bisogno e quella del sistema trasfusionale ». Ecco allora che diventa determinante combattere il luogo comune che si dona solo quando c’è un bisogno specifico, illustrare i molteplici usi del sangue e chi sono i pazienti che ne beneficiano, spiegare che donare significa anche prendersi cura della propria salute grazie ai controlli preventivi fatti sui donatori. «Dal punto di vista psicologico – spiega l’esperto, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – le resistenze maggiori restano la paura dell’ago e il tempo prolungato per la donazione». Timori che possono essere superati grazie alla soddisfazione per il contesto che si incontra e per il tipo di esperienza che si fa. Elementi determinanti per il passaggio psicologico da “Ho fatto una donazione” a “Sono un donatore”. Un processo non facile e che richiede tempo come ben sanno i decani delle associazioni. «Il dono richiede un costante impegno e spesso dà frutti a lungo termine», afferma Agnolucci che rispetto alla situazione toscana rileva come ci sia un forte incremento di presenza e attività dei giovani sui territori. Non solo come donatori ma, soprattutto, come giovani dirigenti con presidenti under 35 alla guida di un numero crescente di sezioni. «I giovani – conclude Guiddi – mostrano un grande desiderio di aprirsi al sociale. L’abilità degli adulti deve essere quella di lasciare che trovino gli spazi per esprimere al meglio questa loro inclinazione solidaristica». Perché, per chiudere con le parole del filosofo Seneca (De vita beata): “Sbaglia chi pensa che donare sia facile: tutt’altro, presenta grandi difficoltà se lo si fa in modo sensato e non a caso o per istinto. Non posso dare con leggerezza perché quando dono faccio il mio migliore investimento”.

 

Gruppo di famiglia
L’esempio di chi ha dedicato la vita agli altri. 

Scomparso nel 1993 ma ancora vivo nei cuori di tanti suoi concittadini, Luigi Bertocci (il secondo da destra nella foto) è stato il fondatore della sezione Avis di Follonica (GR) che oggi porta il suo nome. Una vita dedicata agli altri come racconta la moglie Romana Bologni, 82 anni, che in 33 anni di matrimonio con lui ha condiviso anche quest’esperienza di vita.

Com’è nata in suo marito l’idea di fondare una sezione Avis?
«Dal suo innato desiderio di aiutare gli altri, prima come autista volontario delle autoambulanze della Croce Rossa, poi avvertendo l’esigenza di fare qualcosa anche nell’ambito della donazione di sangue. Per donare, i primi anni, con gli amici si andava in cinque sulla 1100, fermandosi al ritorno a mangiare una bistecca e bere un bicchiere di vino. Così nel 1965 con Roberto Barbafieri e altri amici follonichesi fondarono la sezione di Follonica di cui divenne il primo presidente e che oggi è ancora punto di riferimento importante del nostro territorio».
In che modo avete spiegato ai vostri figli il significato della donazione?
«Cercando di far capire loro l’importanza del donare a prescindere: per aiutare chiunque avesse bisogno, senza sapere chi fosse. Anche se a quei tempi spesso la donazione era finalizzata a qualcuno in particolare».
Che cosa vi ha lasciato quest’esperienza familiare?
«La sensazione di fare una cosa giusta, ma anche la possibilità di avvicinarci a persone mosse dal medesimo spirito altruista e che rimarranno amici per sempre».
Qual è la maniera migliore per avvicinare i più piccoli, futuri potenziali donatori?
«Coinvolgendo le scuole e tutti i gruppi sportivi giovanili affinché attraverso i bambini vengano informati anche i genitori, che possono così dare loro il primo fondamentale esempio di donazione. Perché il dono del sangue è vita».

 

Di donazione non ce n’è una sola.

  • Sangue intero: dura circa 15 minuti e viene utilizzato quasi esclusivamente per la produzione degli emocomponenti (plasma, piastrine, globuli rossi). I maschi e le donne in età non fertile possono donare sangue intero ogni 3 mesi, le donne in età fertile ogni 6.
  • Plasma: la plasmaferesi dura circa 45 minuti ma dipende dal flusso di sangue del singolo donatore. Un separatore cellulare separa il plasma dalle altre cellule del sangue, che vengono reinfuse nel circolo sanguigno. Per recuperare le sostanze che si trovano nel plasma si impiegano pochi giorni. Si può donare il plasma ogni 14 giorni.
  • Piastrine: la piastrinoaferesi dura all’incirca 1 ora e mezza. Come per la plasmaferesi, un’apparecchiatura separa la parte corpuscolata dal plasma ed estrae da questa le piastrine che vengono raccolte in un apposita sacca. Il plasma, i globuli rossi e i globuli bianchi vengono reinfusi al donatore. Si possono effettuare fino a 6 piastrinoaferesi l’anno.
  • Sangue cordonale: subito dopo il parto, sia spontaneo che cesareo. Dopo la recisione del cordone ombelicale e prima dell’espulsione della placenta, si collega il cordone a una sacca dove il sangue in esso contenuto viene raccolto senza alcun fastidio per la mamma.