Io, robot

  Aggiungi ai preferiti
10 Marzo 2018
Domestici robotizzati, robot in grado di fare da badante, macchine intelligenti, marchingegni sempre più strani che promettono di sollevarci dalle fatiche quotidiane. La rivoluzione robotica è dietro l’angolo, anzi è già qui. Svolta che farà epoca o nuovi problemi in arrivo? Di certo qualche dubbio etico lo solleva.
di Patrice Poinsotte

Non creare danni, obbedire e aiutare l’umanità. Ecco qual è, secondo Isaac Asimov, scrittore e scienziato che di marchingegni strani e riflessioni futuristiche ne sapeva qualcosa, il compito dei robot. Dalla casa intelligente che si gestisce da sola alle macchine tuttofare, dal robot umanoide R1, progettato e realizzato all’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, che promette di essere il migliore domestico che si possa desiderare, a quello con funzioni di badante e infermiere progettato dal Sant’Anna di Pisa: la rivoluzione tecnologica bussa alla porta e promette di sollevarci dalle fatiche quotidiane. Svolta epocale o nuovi problemi in arrivo?

Automabiografia
«Basta che le macchine contribuiscano al benessere dell’individuo o della società intera – arriva subito al nocciolo della questione Adriano Fabris, professore di filosofia morale all’Università di Pisa –. Bisogna fare in modo che l’introduzione delle tecnologie non provochi il vantaggio solo di alcuni (ad esempio, di quegli imprenditori che sostituiscono il lavoro umano con quello della macchina), ma che sia una tema affrontato come un problema politico, cioè della comunità tutta». Aggiunge Carla Collicelli, sociologa del welfare e della salute, ricercatore senior associato CNR-ITB Roma: «le innovazioni più recenti e, in particolare, quelle che si stanno affacciando sulla scena sono dense di risvolti problematici per la tutela dell’autonomia, della dignità, del libero arbitrio, della partecipazione responsabile degli individui alla ricerca delle soluzioni ai propri problemi e delle strumentazioni più adatte da questo punto di vista». Infatti, con lo sviluppo della biorobotica e l’integrazione massiccia dell’intelligenza artificiale, la robotica contemporanea permette lo sviluppo di capacità umane, o quasi, come per esempio la percezione, l’uso del linguaggio, l’interazione e addirittura la creatività, rendendo i robot umani troppo umani. «Oggi i computer programmati mediante deep learning (metodo di apprendimento dell’intelligenza artificiale) sono in grado di individuare strategie per risolvere problemi, giochi e situazioni molto complesse che vanno oltre le possibilità stesse dell’uomo», precisa Enrico Prati, fisico, ricercatore presso l’Istituto di fotonica e nanotecnologie del CNR di Milano e autore del libro Mente artificiale (Edizioni Egea, 2017). L’etimologia della parola automa in effetti non lascia dubbi al riguardo: “che si muove da sé”. Ed ecco profilarsi un rapporto tra robotica ed etica: «Un rapporto molto stretto perché le macchine possono agire, con un maggiore o minore grado di autonomia e noi possiamo solo, in molti casi, inter-agire con questi dispositivi », chiarisce Fabris.

Gesti meccanici
Ma non per questo, come avverte Collicelli, possiamo assumerci la responsabilità di fermare il progresso scientifico e tecnologico: «Si tratta piuttosto di rendere il progresso compatibile con l’umanità e la socialità, nonché di rendere la persona direttamente interessata all’uso di strumenti tecnologici sempre più padrona delle sue scelte. In questo senso il ruolo dei consumatori e delle loro associazioni diventa fondamentale». Un essere inanimato o meccanico che acquista la vita o svolge attività umane non è una novità, nuovo però è il modo in cui cambierà le nostre vite. «Le ha già cambiate – puntualizza Fabris –. Viviamo integrando la nostra azione, ad esempio, con quella dei dispositivi digitali personali (pensiamo allo smartphone), i quali svolgono alcune loro funzioni in maniera automatizzata. Altri dispositivi sono già diffusi (ad esempio, il robottino tagliaerba) o sono prototipi che presto verranno prodotti in serie (come l’automobile senza guidatore). Dovremo adattarci, come spesso l’essere umano ha fatto nel passato, e sviluppare altre forme di controllo». C’è chi parla di quarta rivoluzione industriale «che rende facilmente possibile l’automazione delle nostre case, perché è sufficiente uno smartphone e dei software dedicati. Per quanto riguarda prodotti robotizzati più complessi, poi, visti gli alti costi fissi per la ricerca e la realizzazione, inevitabilmente l’ampliamento della scala della produzione e delle vendite ne ridurrà i costi unitari », spiega Pompeo Della Posta, professore associato di economia politica presso il dipartimento di economia e management dell’Università di Pisa.

 

Oggetti d’investimento
E a questo si collega il tema, tutt’altro che secondario, degli investimenti: «L’Italia e l’Europa investono molto nella robotica, basti pensare al robot umanoide R1 o al robot badante», fa un paio di esempi Della Posta, anche se per adesso i benefici di questa tecnologia non sono per tutte le tasche. Cospicui investimenti – seppure ancora limitati rispetto alle reali possibilità di sviluppo, un po’ come per tutta la ricerca in Italia, rilevano gli addetti ai lavori – sono destinati alla robotica umanoide per riuscire, già dal prossimo decennio, a costruire robot che si occupino di operazioni di salvataggio, manutenzione e che lavorino in zone ad alto rischio, in caso di disastri industriali, terremoti ecc. E l’introduzione di automi e tecnologie avanzate sta già cambiando, e non poco, il modo di produrre. «Come per la globalizzazione, l’educazione è la migliore assicurazione contro le conseguenze dei cambiamenti tecnologici e della robotica: il 70% dei lavori non specializzati è a rischio di automazione, contro il 46% di quelli a specializzazione media e l’8% ad alta specializzazione. E già ora si ha il paradosso del jobless growth, cioè un Pil che cresce ma senza lavoratori», chiarisce il quadro Della Posta.

Senso di responsabilità
Automazione nella produzione industriale, ma anche nel settore dei trasporti, con i veicoli autonomi – per esempio la Google car che si guida da sola –, per le operazioni mediche e l’assistenza sanitaria e alle persone anziane (e poi c’è tutto il capitolo della biorobotica di cui si parla nell’articolo Materiale umano), tanto che la presenza degli umanoidi al posto degli umani potrebbe diventare nel giro di poco tempo un po’ ingombrante. Un dato che fa riflettere: 60mila operai saranno prossimamente rimpiaz-zati dai robot in un’azienda cinese che impiega 1,2 milioni di persone. «Questo processo non si arresterà e prima o poi si tratterà di un fenomeno di massa – dichiara Collicelli –. La speranza è che non si tratti di un’evoluzione che va ad accentuare le disuguaglianze tra categorie diverse di cittadini e territori diversi, ma che sia accompagnata da un percorso di riequilibrio nell’ambito del diritto all’accesso ai servizi e alle cure». Allora forse ciò che dobbiamo chiederci è cosa c’è di buono o di cattivo nelle nostre interazioni con i robot «e cercare di prevederne le conseguenze, progettare i dispositivi in modo da poterne controllare gli effetti. Tutto ciò riguarda la cosiddetta “roboetica”», Fabris ci aiuta a capire la portata del problema, invitandoci a ripensare il concetto stesso di responsabilità umana. «Rispetto al funzionamento delle macchine la responsabilità umana diventa qualcosa di molto articolato. C’è la responsabilità del progettista, del costruttore, del programmatore, dell’utilizzatore, del manutentore. Ognuno ha una parte di responsabilità e ognuno se ne deve far carico, sia da un punto di vista etico che in una prospettiva deontologica». Solo così la diffusione della tecnologia avverrà in un modo affidabile e utile davvero, come potrebbe essere il caso degli elder care robots, se riusciranno davvero a prendersi cura degli anziani, o per gli esoscheletri e i robot che aiutano persone con difficoltà motorie. In tre parole: sicurezza, servizio, prudenza. E si ritorna alle leggi della robotica inventate da Asimov, per restare umani noi.

 

Italia - Las Vegas
Tante novità made in Italy dal salone di robotica a Las Vegas.

Vera e propria fiera delle nuove tecnologie, il salone di Las Vegas 2018 si è concentrato su quello che viene ormai considerato il futuro dell’umanità: la robotica e l’intelligenza artificiale (IA). Uno dei prodotti più futuristici presentati è stato IPAL: un robot “intelligente” in grado di interagire con le persone rivelando alcuni movimenti chiave. Capace di cantare, di giocare con i bambini può anche rendersi molto più utile chiamando i soccorsi quando un essere umano ne ha bisogno. Menzione speciale all’Italia per le novità: con Yape, il robot postino, le biciclette intelligenti che schivano le buche e anticipano i pericoli, i robot collaborativi di ultima generazione si tiene alta la bandiera dell’ingegneria made in Italy. Tra gli altri progetti italiani di grande successo oltreoceano troviamo una piattaforma capace, sfruttando l’IA e i Big Data, di monitorare il pubblico intrattenuto da un cartellone pubblicitario. E anche l’idea più originale arriva dal Belpaese: due robot dietro al bancone di un bar. Risultato: 120 bicchieri serviti all’ora e 60 cocktail diversi preparati. Trasmissione dell’ordinazione, selezione degli ingredienti, shakeraggio e guarnizione, le macchine hanno sostituito alla perfezione 8 baristi. Sull’efficienza niente da ridire, ma la storia dei cocktail la farà sempre la coppia di barman Tom Cruise e Bryan Brown.

  • 135 miliardi di dollari il giro d’affari della robotica previsto per il 2020.
  • 32% ecco quanto l’Europa rappresenta nel mercato attuale della robotica.
  • 16,5% dei finanziamenti europei va all’Italia, all’avanguardia nella ricerca.
  • 6 miliardi di euro è la cifra che vale in Italia l’industria dell’automazione e della robotica, in crescita nel 2018 del 6,5%.
  • 70% dei lavori non specializzati a rischio di automazione, contro il 46% di quelli a specializzazione media e l’8% ad alta specializzazione.
  • Da 5 a 20mila euro il costo dell’installazione di un sistema di domotica: un investimento nella casa intelligente che consente di risparmiare fino al 10% sulle bollette energetiche.

 

Materiale umano
Per le ultime frontiere della biorobotica basta fare un salto al Sant’Anna di Pisa.

L’interazione uomo-macchina, ovvero come far comunicare tessuti umani e componente robotica. Non solo: sfruttarla in applicazioni biorobotiche e biomedicali per migliorare la salute e la qualità della vita, ma anche per imitare le funzionalità del muscolo umano. Queste le linee di ricerca del Sant’Anna di Pisa in biorobotica. Un istituto che, secondo Alice Rita Salgarella, dottoranda presso l’Istituto di BioRobotica - Scuola Superiore Sant’Anna, «costituisce un polo fondamentale per lo sviluppo di tutte queste varie e complesse applicazioni della robotica bio, e l’Italia e la Toscana, in particolare, vantano un’alta concentrazione di addetti alla ricerca e allo sviluppo di sistemi robotici, attirano studenti e lavoratori da diversi paesi del mondo, rappresentando così un contesto multidisciplinare e multiculturale dinamico e unico». E così la robotica si mette a disposizione dell’uomo per renderne l’esistenza più semplice e duratura. «Talvolta questa particolare relazione può spaventare – spiega la ricercatrice –. Impossibile, infatti, non rimanere impressionati nel vedere il robot della Boston Dynamics, per esempio, fare salti e capovolte. In generale la biorobotica avrà sempre più un impatto fondamentale nella vita quotidiana; basti pensare a quella indossabile, attualmente ideata e testata per scopi riabilitativi e per l’assistenza agli anziani, ma che si vuole applicare anche nell’industria per aiutare, ad esempio, gli operai delle fabbriche a spostare carichi pesanti». I campi della robotica non si esauriscono qui. Ci dà qualche altro esempio Lorenzo Vannozzi, ricercatore post-doc al Sant’Anna: «Uno degli ambiti più promettenti è ispirarsi alla natura, cioè lo sviluppo dei cosiddetti “attuatori bioibridi”, l’ingegnerizzazione in vitro di motori muscolari a partire dalle singole cellule muscolari, combinando elementi biologici con strutture di sopporto sintetiche». Ricerche queste dedicate all’ottimizzazione di sistemi ispirati al muscolo umano capace, aggiunge Vannozzi, «di mimarne le performance col vantaggio di realizzare delle strutture morbide e flessibili e in grado di eseguire movimenti in maniera più fluida rispetto ai robot convenzionali, come appunto il muscolo naturale». E non si tratta solo di arti bionici. «Numerose sono le applicazioni di queste interfacce, dalla realizzazione di organi artificiali come, ad esempio, il pancreas o la vescica, al miglioramento dei sistemi di diagnostica, allo sviluppo di sofisticati sistemi intelligenti di rilascio del farmaco», conclude Salgarella.  

 

Quoziente di intelligenza
Ma un robot può essere davvero intelligente? Ne abbiamo parlato con Enrico Prati, fisico, ricercatore presso l’Istituto di fotonica e nanotecnologie del CNR di Milano 

Entriamo subito nel vivo: che cos’è l’intelligenza?
«L’intelligenza consiste nel capire che c’è qualcosa da capire, stabilendo ovviamente cosa intendiamo dicendo che ci sia qualcosa da capire. È la capacità di individuare le correlazioni in un sistema complesso di informazioni, che va dal cogliere la regolarità nei numeri fino all’autoanalisi delle emozioni. È un processo creativo che rimbalza tra i due emisferi, diametralmente opposto alle procedure passo passo dei vecchi programmi per computer. Il nostro più potente strumento di sopravvivenza perché ci consente di prevedere il futuro cogliendo la regolarità dei fenomeni che si presentano nel tempo».
Un robot può essere intelligente? O meglio, che cosa significa per un robot essere intelligente?
«Robot e intelligenza artificiale vengono spesso catalogati sotto lo stessa categoria. Se dovessimo fare un confronto con il corpo umano, il robot sono le braccia e la gambe, l’intelligenza artificiale corrisponde al pensiero cioè ai processi che si svolgono nella testa. Il punto quindi diventa se una macchina possa o meno essere intelligente. Fino ad alcuni anni fa i programmi per i computer non erano intelligenti, piuttosto si potrebbe definirli stupidi e potenti, perfino Deep Blue che vinse a scacchi contro Kasparov. Oggi invecel’intelligenza artificiale di tipo deep learning svolge quel compito di cogliere ciò che si ripete con regolarità, le correlazioni, le analogie. In particolare le reti neurali profonde (deep) istruite mediante l’apprendimento per rinforzo sono intelligenti dal punto di vista algoritmico, nel senso che apprendono senza aver ricevuto istruzioni ma solo l’equivalente di un istinto, definito grazie a una funzione numerica. Queste macchine, però, non sono individui: sono potentissime calcolatrici nelle nostre mani che ci assistono nel vedere meglio nel mare dell’informazione».
Il modello etico di programmazione chiamato empowerment, ovvero la possibilità di lasciare l’intelligenza artificiale fare le sue scelte, sembra contraddire le leggi di Asimov per cui la relazione uomo-macchina deve essere sana e sicura. Che ne pensa?
«Esiste una nuova mitologia creata da un ramo della fantascienza che vuole le macchine libere di sfuggire al controllo dei propri costruttori. È bene chiarire che le scelte non le impone mai una macchina ma il suo programmatore con precise responsabilità legali e giuridiche. Un’intelligenza artificiale lasciata libera di fare danni equivale a lasciare un drone senza comandi su uno stadio pieno di persone: la colpa è di chi ha lasciato volontariamente i comandi. Occorre essere molto chiari su questo, perché le sfide di oggi sono legali oltre che scientifiche, etiche oltre che tecnologiche. Tornando all’analogia con le leggi di Asimov, i programmatori possono decidere di cancellare le leggi della robotica da un’intelligenza artificiale per renderla autonoma, ma non penso che convenga esporsi al rischio di pagarne a vita le conseguenze».