Il pianeta verde

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15 Febbraio 2018
Conciliare la crescita economica con il rispetto dell’ambiente. Alla prossima legislatura gli scienziati – e non solo loro – chiedono che ecologia e sostenibilità ambientale siano in cima alla lista delle priorità politiche, perché la nostra vita dipende da delicati equilibri naturali, ignorati o dati per scontati. Mentre gli addetti ai lavori lanciano il grido d’allarme per la salvezza del pianeta, a che punto è l’Italia nel passaggio alla green economy?
di Claudio Strano

 

«Non dica che vorrebbe rompere il ghiaccio, la prego. Ce n’è rimasto già pochissimo... ». La battuta di Luca Mercalli, meteorologo e climatologo, stempera le tensioni accumulate in una delle tante platee che ascoltano dai più accreditati climatologi la diagnosi del nostro pianeta malato, che si sta sciogliendo per «l’impressionante accelerazione del riscaldamento globale – dal 2014 al 2016 ogni anno un nuovo record globale di caldo e l’estate 2017 è stata per l’Italia la seconda più bollente dal 1800 –. E, come se non bastasse, è spremuto di risorse dall’uomo», sottolinea il presidente della Società Meteorologica Italiana (vedi pianeta terra a p. 17). Insomma è il momento di invertire la rotta e non soltanto sulla carta, ma nei fatti, se ci si vuole salvare dalla graticola.

Salvaguardia dell’ambiente
“Non andiamo abbastanza veloci”, è il grido d’allarme della politica più seria, rappresentata sul piano internazionale dal presidente francese Emmanuel Macron, organizzatore del One planet summit di Parigi, a dicembre, a 2 anni dagli accordi globali sul clima. In Italia le prossime elezioni di Governo sono un’altra chance per chiedere alla politica «un deciso cambio di passo», per citare le parole all’economista Enrico Giovannini, portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, che ai candidati nostrani in corsa per il 4 marzo chiede di mettere al centro dei programmi temi come l’ambiente e la sostenibilità, adottando precisi criteri per misurarne gli obiettivi. Una strategia per essere in linea con quelli indicati a Parigi, volti a contenere ben al di sotto dei 2 gradi l’aumento della temperatura del pianeta. Oggi teniamo il passo dei 3,5 gradi e dopo 3 anni di stabilità, le emissioni globali sono tornate a crescere del 2% circa, soprattutto per responsabilità della Cina. I numeri parlano da soli. «Di questo passo nel 2050 ci servirebbero 3 Terre», riattacca Mercalli, proiettando l’impronta ecologica di oggi nel futuro prossimo. Un futuro che ai ritmi attuali potrebbe portare all’estinzione dell’uomo e di molte altre specie. È troppo arrivare ad affermarlo? Forse sì, secondo Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile (vedi l’intervista a lato) che ha accompagnato la stesura del decalogo del Consiglio nazionale della green economy, di cui fa parte, rivolto alle forze politiche per le prossime elezioni: «Premesso che delle previsioni lineari è bene diffidare, non parlerei di estinzione: prima ci sarebbero delle ripercussioni della crisi climatica sulla crisi economica molto pesanti che obbligherebbero l’umanità a prendere contromisure consistenti». Comunque sono 15mila gli scienziati di 184 paesi ad aver rilanciato, al pari di Mercalli, il grido d’allarme “il pianeta è in pericolo”, 25 anni dopo l’avvertimento all’umanità firmato da 1.700 scienziati e premi Nobel riuniti nell’organizzazione Union of Concerned Scientists.

Le 5 P
Dato questo quadro clinico, che cosa si muove sul fronte della cura, soprattutto in Italia? Tra i temi della campagna elettorale c’è quello della transizione alla green economy. Almeno a parole. Torna utile sfogliarsi il Programma per la transizione alla green economy in Italia, elaborato dal Consiglio nazionale della green economy (composto da 66 organizzazioni di imprese rappresentative del settore) e presentato agli Stati Generali a Rimini, alla fiera Ecomondo. Un decalogo puntuale che invita le forze politiche a orientarsi su nuove stelle polari. Qualche buona notizia almeno sulla carta c’è. Il Governo ha varato, infatti, a novembre la nuova Strategia energetica nazionale (Sen) che definisce la politica energetica italiana per i prossimi 10 anni, promettendo il 43% in più di eolico e solare da qui al 2022. Il Consiglio dei ministri inoltre ha approvato la Strategia nazionale di sviluppo sostenibile 2017- 2030 che amplia il raggio d’azione della precedente (2002-2010) «per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu – come dichiarato dal ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – e onorare gli accordi sul clima di Parigi». Per ancorare la strategia a dei punti fermi, ci sono le 5 aree di intervento. Tutte con la “p” per iniziale: persone, pianeta, prosperità, pace e partnership. E, infatti, al primo punto del Programma per la transizione alla green economy in Italia figura la richiesta di inserire la transizione “verde” tra le priorità dell’agenda parlamentare e di Governo; al secondo il rilancio delle energie rinnovabili perché gli investimenti si sono dimezzati negli ultimi 4 anni. Il contributo delle fonti rinnovabili alla battaglia contro i combustibili fossili deve raddoppiare da qui al 2030 per arrivare a coprire il 35% dei consumi energetici che, di pari passo, dobbiamo ridurre di almeno il 40% sull’andamento tendenziale. Sul fronte degli sprechi e dei rifiuti l’imperativo è passare da un modello lineare di economia a uno circo-lare. La forte crescita della raccolta (52,5%) e del riciclo (47,7%) non basta perché, non solo siamo distanti dalle quote richieste dall’Europa (il 70% di riciclo dei rifiuti urbani al 2030), ma lo sforzo si vanifica quando non si aprono sbocchi di mercato soprattutto per la plastica e la carta.

Pronto intervento
Tra gli altri punti del decalogo l’attivazione di un Piano nazionale per la rigenerazione urbana per bloccare il consumo di suolo, riqualificare l’esistente e combattere il degrado delle periferie; la valorizzazione del capitale naturale, tra i migliori d’Europa ma spesso dimenticato come quello culturale, nonché una maggiore efficacia delle politiche pubbliche. Passando al delicato tasto della mobilità urbana, al futuro Parlamento viene chiesto un cambio di direzione fino alla proposta coraggiosa, o ardita, di un divieto di immatricolazione per le auto a benzina e diesel al 2030. E poi per un’agricoltura più sostenibile e di qualità bisognerà fare i conti, più che in altri settori, con i danni da siccità e da alluvioni e con il restringimento della superficie agricola totale, diminuita negli ultimi 20 anni del 24%. Meno terra ma ad alta resa, però, visto che siamo i secondi esportatori di biologico al mondo dopo gli Usa e i primi in Europa per numero di prodotti certificati, più di 1/4 del totale. Servono poi interventi urgenti per il problema della dispersione delle acque in una rete di distribuzione colabrodo che nel 2015 ha perso ben il 38,2% dell’acqua potabile. Di poca ma anche di troppa acqua dal cielo si può morire: sono circa 2 milioni, infatti, gli italiani che oggi vivono in territori esposti ad alluvioni di pericolosità elevata e 6 milioni a pericolosità media. Infine all’economia ad alta qualità ecologica si chiede di diventare un fattore decisivo per il successo delle imprese italiane (già il 42% di esse, spalmato su tutti i settori produttivi, è “verde”). Tante le questioni messe nero su bianco, da affrontare e risolvere senza più porre tempo in mezzo e andando oltre la sterile contrapposizione tra catastrofisti e negazionisti del cambiamento climatico. Perché il pianeta invoca misure concrete per salvare sé stesso e noi che lo abitiamo.

 

Prospettive di sviluppo
Lotta al cambiamento climatico ed “economia verde”. Ce ne parla Edo Ronchi, tra i massimi esperti di ambiente e green economy.

Professore, cominciamo dalle imprese italiane “verdi” che sono il 42% del totale. Una percentuale che la soddisfa? «Va subito precisato che il 42% è dato dalla somma di un 27,5% di imprese core green, che producono cioè beni e servizi ambientali, e di un 14,5% di imprese go green, che adottano processi produttivi di elevata qualità ambientale. Queste percentuali ci collocano tra i migliori paesi europei nel campo della green economy con punte avanzate in settori strategici come il riciclo, le rinnovabili, la produzione agricola di qualità e altro ancora».
Sulle fonti rinnovabili, però, si registra un arretramento...
«È vero: sulle rinnovabili abbiamo accumulato ritardo negli ultimi 3 anni. Noto con piacere, però, che gli obiettivi indicati nella nuova Sen, la Strategia energetica nazionale, sono molto avanzati nel solare e nell’eolico e vanno verso l’eliminazione del carbonio nella produzione di elettricità entro il 2050».
Ma sulla mobilità proprio non brilliamo.
«Per la mobilità il discorso è un altro. Abbiamo tante possibilità, ma occorre puntare più decisamente su ibrido, elettrico, metano, biogas e su forme di condivisione come il car sharing e il car pooling. La proposta della messa al bando delle auto a benzina e a diesel si riferisce alle nuove auto e non è affatto irrealistica. L’elettrico sta crescendo, il gas pure, e l’ibrido è già competitivo: i costi d’acquisto di un’auto oggi si ammortizzano in 4 o 5 anni. Inoltre le tendenze internazionali di sostituzione delle auto tradizionali ci autorizzano ad avere un obiettivo del genere, che in Francia del resto è già diventato legge».
Alla luce del vertice di Macron e in prospettiva della Coop 24 che si terrà in Polonia a fine 2018 e che farà il “tagliando” agli accordi globali di Parigi, lei come si sente?
«Mi sento in accordo con Macron. A 2 anni dall’intesa di Parigi le cose non vanno bene: le emissioni mondiali aumentano sostanzialmente perché rallenta il trend di diminuzione degli americani e sono tornate a crescere le quantità di gas serra emesse dai cinesi, che fanno registrare un forte calo nell’idroelettrico. Mentre sul carbone hanno una politica a due facce: di riduzione nelle città della costa, ma di incremento nelle aree rurali dell’interno dove i cinesi puntano a un rapido sviluppo».
La sfida climatica si può vincere grazie alla green economy e alla sostenibilità?
«L’anello di congiunzione può e deve essere l’economia low carbon (a basse emissioni di carbonio, ndr) e la sua progressiva competitività nel medio-lungo periodo. Unita all’economia circolare, al riciclo e alle buone pratiche come la riduzione degli sprechi e una migliore redistribuzione delle risorse, può produrre quei risultati che tutti noi speriamo di vedere sul fronte climatico. Le scelte di paesi oggi considerati leader, come Francia e Germania, se sapranno essere vincenti sul piano della competizione economica, avranno un effetto traino anche sui paesi più recalcitranti. La green economy è l’unica via per lo sviluppo sostenibile e le sue potenzialità dipenderanno dalle scelte che si faranno».

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