Giusto in Coop

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20 Maggio 2016
Come si forma il prezzo dei prodotti ortofrutticoli. In Coop Buoni e giusti.
di Dario Guidi

Il tema della lotta a ogni forma di sfruttamento nelle filiere agricole italiane è al centro della campagna Buoni e giusti che Coop ha promosso. Combattere il caporalato e il lavoro nero passa sicuramente, come Coop ha fatto, da un aumento dei controlli e dal prevedere il rispetto dei contratti e dei diritti dei lavoratori in tutte le migliaia di aziende fornitrici. È chiaro che per arrivare a garantire questo fondamentale obiettivo, un peso non secondario ce l’ha anche la catena che porta alla definizione del prezzo di un prodotto. Le vicende di cronaca hanno fatto emergere come lo sfruttamento dei lavoratori (in molti casi immigrati) e il mancato rispetto dei contratti venisse spesso giustificato con la presunta necessità di comprimere i costi per garantire prezzi più bassi, di fronte a un mercato nel quale i produttori sono vittime di chi ha dimensioni economiche più grandi. Ma come si formano i prezzi nelle singole filiere? Per capirlo è necessario partire da un’analisi delle caratteristiche del mercato agricolo italiano.

Varie fasi

La frammentazione della realtà italiana, diversa da quanto avviene, ad esempio, in Francia e Spagna, ha come conseguenza il fatto che gli stessi agricoltori, cioè quelli da cui dipende il pagamento dei lavoratori nei campi, una volta raccolto il prodotto, non hanno aziende in grado di gestire la serie di lavorazioni successive (conservazione, confezionamento, trasporti ecc.) di cui comunque ogni catena della Grande Distribuzione ha bisogno. «Questa fa sì – spiega Marco Pedroni, presidente di Coop Italia – che sia presente una fase intermedia, che in Italia pesa tantissimo, rappresentata da grossisti e aziende. Questa fase incide pesantemente sulla formazione del prezzo perché come Coop acquistiamo un prodotto già lavorato e preparato in un determinato modo (della pianta non si acquistano tutti i frutti), spesso confezionato, che è poi come lo vuole il nostro socio, nelle quantità e nel momento che serve al consumatore. E questo quasi mai viene spiegato correttamente. Come Coop siamo assolutamente impegnati a cercare di costruire rapporti più diretti con i produttori e a semplificare le fasi di intermediazione».

Voci di costo

La struttura della filiera italiana fa sì che, considerando 100 il prezzo finale di un prodotto, questo valore sia composto di 3 parti. Un primo strato che vale circa 35 è il costo di produzione (su cui il costo del lavoro, calcolato nel rispetto dei contratti, pesa per un 35-40 per cento). Il margine netto che resta ai produttori vale più del 10 per cento. Poi c’è la seconda fase che mediamente vale un altro 35, ma che in molte filiere, ad esempio, in quella degli agrumi, arriva fino a 50, nella quale stanno la selezione, il confezionamento e la logistica. Qui il margine netto dei fornitori è stimato mediamente intorno al 10 per cento.

Poi c’è l’ultima fetta, quella della distribuzione, che vale il restante 30 sul prezzo finale di 100. Qui i costi sono stimati incidere tra il 23 e il 28 per cento mentre il margine netto delle catene di distribuzione si aggira tra il 2 e il 4 per cento ed è quindi il più basso nei 3 passaggi che abbiamo indicato. Dunque il punto di fondo è che Coop e le catene di distribuzione acquistano a 70 che è molto di più del costo della produzione. «Il nostro sforzo per sostenere i produttori è convinto e trasparente – prosegue Pedroni –. Con la campagna Buoni e giusti vogliamo essere più che mai parte attiva per favorire la nostra agricoltura. Quel che vogliamo però ribadire è che noi paghiamo prezzi che normalmente coprono i costi di produzione e consentono un giusto margine alle aziende agricole».