C’è una brutta e insignificante terra grigio-rossastra che quasi nessuno conosce, ma senza la quale non avremmo automobili, lattine di conserva, edifici e strade; circa 3/4 dei circa 1.600 milioni di tonnellate di acciaio fabbricate ogni anno nel mondo si produce usando questa terra pulverulenta. Come materia prima per la siderurgia si usano infatti ossidi di ferro contenuti nei due principali minerali ematite e magnetite estratti soprattutto in Australia, Brasile, Cina, India e Russia. Adesso capite perché si parla di Bric, Brasile, Russia, India e Cina, come gruppo di nuove potenze industriali.
La roccia contenente i due minerali deve subire varie operazioni di raffinazione per ottenere il minerale di ferro da usare in siderurgia, e nel corso della lavorazione si formano grandi quantità di scorie solide e liquide che vengono depositate in discariche, un settore minerario molto inquinante. Il minerale di ferro adatto per la siderurgia viene commerciato sulla base di un contenuto di ferro del 62 o 65% (il resto è ossigeno), ad un prezzo variabile fra 60 e 80 euro alla tonnellata. Questo viene esportato in tutto il mondo, attraverso gli oceani su grandi navi che lo conducono nei porti da cui poi raggiungono le acciaierie. Il minerale di ferro viene trattato, miscelato con carbone e calcare, negli altiforni. Qui l’ossigeno degli ossidi di ferro viene “portato via” dal carbone sotto forma di gas, e il ferro fuso viene recuperato come ghisa, un materiale intermedio prodotto nel mondo in ragione di circa 1.100 milioni di tonnellate all’anno.
La ghisa viene poi trattata, da sola o miscelata con rottami, dentro convertitori in cui viene iniettato ossigeno per eliminare l’impurezza di carbonio che ancora contiene. Della produzione mondiale annua di acciaio, 1.200 milioni di tonnellate sono ottenuti con i convertitori a ossigeno, gli altri 400 milioni sono ottenuti per fusione di rottami nei forni elettrici.