96 anni il prossimo 31 luglio, grande protagonista del cinema italiano e della televisione, Franca Valeri stupisce ancora. A inizio maggio ha pubblicato, per Einaudi, La vacanza dei superstiti con il sottotitolo E la chiamano vecchiaia, una lunga divagazione sull’ultimo periodo della vita. “Per invecchiare bene – scrive l’attrice milanese – occorre attrezzarsi per tempo, prepararsi fin dalla giovinezza, senza essere ridicole quando gli anni avanzano”. E dichiara che detesta le 60enni in jeans, lei che non ha mai cambiato il suo stile d’abbigliamento, abiti Capucci, e neppure la sua pettinatura, taglio a caschetto creato per lei dai Vergottini nel 1964. Ma è il teatro, la sua vita, che occupa gran parte del libro e che lei vorrebbe facesse parte ancora del suo tempo, costretta invece alla pensione da organizzatori poco propensi a puntare su un’attrice ultranovantenne. «Forse hanno paura che muoia sul palco», afferma con una punta di amara polemica, pur senza perdere la sua proverbiale ironia, che sparisce solo quando parla dell’Italia di oggi. «La vedo male – dice –, è diventata sgradevole... Se penso a cosa erano ovunque gli anni Cinquanta e non solo in teatro o al cinema, mi intristisco ».
Nel suo libro scrive: “Improvvisamente ho novant’anni. Ho un telefono, anche due, che suonano, delle idee che mi tengono sveglia insieme a tanti ricordi, la mia testa è come una piazza. Sopravvivere è un lavoro. Bellissimo, secondo me”. Dunque Franca Valeri non ha mai conosciuto la noia?
«Mai. Ho lavorato tanto, coltivato le amicizie e mi sono molto divertita. Certo ero giovane e forte, mentre adesso, con l’età, faccio molta più fatica. Ma l’entusiasmo, quello non è mai venuto meno, per fortuna. E fin che c’è entusiasmo ci si può divertire anche a 96 anni».
Soprattutto quando, come nel suo caso, la mente è attivissima.
«Grazie al cielo sì. Di solito i vecchi rincitrulliscono, ma a me non è ancora capitato». C’è un segreto per avere la meglio sul tempo che passa? «Intanto dipende dalla natura. E poi bisogna applicarsi, leggere, studiare, perché smarrire la presenza intellettuale è terribile».
Ha intitolato il suo ultimo libro La vacanza dei superstiti. Si considera tale?
«In un certo senso sì. Ma non ritengo la vecchiaia un decadimento, piuttosto un incidente di percorso che fa parte della vita. Se si può arriva, se non si può purtroppo no. A me è arrivata ».
Quanto è stato importante stare tanti anni in palcoscenico?
«Importante è dire poco: è stato tutto. E ora che lavoro poco, niente e nessuno mi manca più del teatro, niente riempie le mie giornate come il contatto con il pubblico, gli applausi, le visite in camerino di tanti giovani, perché sono molto amata dai giovani».
Agli inizi della sua carriera lei, che si chiama in realtà Franca Norsa, decise di trasformare il suo cognome in Valeri. Come mai?
«Norsa era poco spettacolare e una mia amica, appassionata dei versi di Paul Valéry, mi consigliò di adottare come pseudonimo il cognome del suo poeta preferito».
Ha incominciato a farsi conoscere dal pubblico della radio con la “signorina snob”e poi non si è più fermata: teatro, cinema, scrittura. Ma qual è la commedia che ricorda con più affetto?
«L’ultima scritta, Il cambio dei cavalli, che ha debuttato con successo a Spoleto, per poi andare a Milano e a Roma. Spero tanto di poterla riprendere per la prossima stagione. È un bel testo e mi dispiacerebbe lasciarlo nel cassetto».
Nella sua autobiografia Bugiarda no, reticente, uscita nel 2012, riferisce di aver avuto amori lunghi con due traditori.
«Uno è mio marito, Vittorio Caprioli, che amava piacere alle donne e ci riusciva. La nostra unione fra alti e bassi è durata una decina d’anni. Poi, per 30 anni, sono stata con un vero, grande traditore (il direttore d’orchestra Maurizio Rinaldi, scomparso nel 1995, ndr). Ma aveva 14 anni meno di me, forse troppi e allora il tradimento era prevedibile»
Parliamo dei suoi cani, i teneri Cavalier King Charles che si sono susseguiti nella sua vita, che lei ha chiamato sempre Roro e che non l’hanno mai tradita.
«Proprio così. Ne ho avuti 8 e li ho chiamati Roro in omaggio all’Aroldo di Verdi. Ma nella mia casa di Roma oggi non c’è solo l’ultimo Roro, è piena di cani e gatti, tutti rigorosamente salvati dalla strada. Senza contare i trovatelli che ospito nel rifugio sul lago a Trevignano romano».
Di solito i comici nella vita di tutti i giorni sono piuttosto malinconici. È vero anche per lei?
«Non sono triste ma non rido spesso, però sono contenta di aver fatto ridere gli altri. Capire qual è il segreto per strappare una risata è più difficile della soluzione di un problema matematico, ma poi quando ci si riesce è una bella soddisfazione. La gente che ride è per un attimo fuori dal mondo e anche se ha problemi li dimentica. È il valore magico della risata e forse è per questo che il pubblico mi ama».