Come si cambia

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1 Ottobre 2016
Dal Rapporto Coop 2016 esce lo spaccato di un’Italia che cambia. Più poveri, soli e anziani, ma più attenti alla salute e all’ambiente, più pratici nell’uso delle tecnologie.
di Dario Guidi

Aspettando l’uscita da una crisi economica e sociale che viene ogni anno rimandata, gli italiani continuano a cambiare, adattare e modificare il loro stile di vita, in un continuo alternarsi di luci e ombre, di problemi e opportunità. Questo anche se le risorse economiche sono, se va bene, stazionarie. Ciò non impedisce di registrare scelte in costante evoluzione, con modifiche destinate a durare nel tempo, anche quando l’economia dovesse davvero ripartire.

Che c’è di nuovo

È questo il cuore della fotografia che il Rapporto Coop 2016 consegna all’analisi e alla riflessione. Una serie notevole di dati e tabelle da cui emerge un paese che non se la passa benissimo, perché sostanzialmente più povero, più vecchio, con diseguaglianze che aumentano (specie tra Nord e Sud), ma nel quale le persone sono sempre più attente alla salute, all’alimentazione, fanno scelte rispettose dell’ambiente, sono sempre più digitali, e cominciano a usare smartphone e altre tecnologie non solo per socializzare, ma anche per fare acquisti. «Il nostro rapporto – spiega il direttore generale di Ancc-Coop, Albino Russo – ci racconta un paese ingessato, dove la ripresa fatica a decollare, ma nel quale stanno nascendo dei “nuovi italiani”. Sono figli della recessione, cresciuti in una società sempre più liquida e flessibile, sono certamente più vecchi, più soli e più poveri, ma sono oggi tra i più innovativi e sperimentali d’Europa. C’è una capacità di cogliere le opportunità che, ad esempio, vengono dalle nuove tecnologie e di usarle facendole diventare parte della vita quotidiana».

Scala sociale

Ma partiamo dall’inizio e cioè dal fatto che nel 2016 i consumi cresceranno dell’1,1 per cento cioè quasi il doppio di un pil previsto al più 0,6. Questa crescita dei consumi, che appare come un dato di ottimismo e disponibilità delle famiglie, è però molto disomogenea e concentrata su pochi capitoli (specie i beni durevoli come l’automobile). Cioè, dopo anni di rinvii, si è cambiato ciò che è diventato vecchio, fosse l’auto, il frigo o qualche mobile. Ma sul resto prevale decisamente la prudenza, perché gli italiani si sentono sempre più poveri. Se nel 2006, prima della crisi, il 60 per cento di persone diceva di appartenere alla classe media e il 28 per cento alla classe medio bassa, oggi si è verificata una clamorosa inversione: solo il 39 per cento dice di appartenere alla classe media, mentre un 54 per cento dice di appartenere alla classe medio bassa. Dunque l’ascensore sociale porta verso il basso e non a caso in Italia la quota di persone a rischio di povertà o esclusione sociale è del 28,5 per cento, contro il 18,1 della Francia, il 20,3 della Germania, il 24,8 della Gran Bretagna (peggio di noi stanno solo Grecia col 36,7 e Romania col 40,4). Se l’impoverimento è generalizzato, si aggiunge poi il fatto che comunque ricchezza e reddito premiano molto di più gli anziani rispetto ai giovani. Se sul piano del reddito quello di chi ha tra i 19 ed i 34 anni è mediamente di 16.133 euro, quello di chi passa i 64 anni è di 20.345. Se invece si sposta il paragone sul piano della ricchezza (cioè il patrimonio accumulato) il divario diventa più impressionante: sono 18.300 euro per una famiglia fino a 34 anni, contro i 154mila euro per le famiglie over 64 (cioè un rapporto di quasi 1 a 8). Dunque per i millennials, come vengono definiti i nati tra 1980 e 1995, cioè la generazione che dovrebbe essere la protagonista del futuro, c’è da fare una corsa ad ostacoli. Non a caso questo gruppo (stimato in circa 8,6 milioni di italiani) prevale chi pensa che per mettere su famiglia sia fondamentale l’aiuto dei genitori, che risparmiare sia difficilissimo e che non riuscirà mai ad avere uno stipendio come quello dei genitori.

Presi nella rete

In questo contesto faticoso e difficile, gli italiani però hanno da tempo cominciato a reagire. La prima tendenza, certo non solo italiana, è quella legata a tecnologie e mondi digitali, dal web ai social. Sull’uso degli smartphone siamo ai vertici assoluti. Basti dire che il 70 per cento degli intervistati dichiara di consultare lo smartphone entro 30 minuti dal risveglio (la media Ue è del 60 per cento, Germania 52, Francia 42). Con lo smartpohone facciamo cose diverse che cambiano con l’età: i più giovani stanno sui social, poi c’è chi fa foto, mentre gli over 64 cercano notizie. In più siamo secondi solo agli Usa (21 per cento contro 23) per persone che utilizzano lo smartphone per fare acquisti. Con un 33 per cento di popolazione che è su Facebook, un 30 per cento su WhatsApp e via scendendo, si scopre come l’uso degli apparecchi digitali porti anche a interessarsi di sharing economy, cioè di quell’economia basta sullo scambio e sulla relazione diretta tra utenti. I cambiamenti nello stile di vita approdano anche ad altri ambiti, dove emerge una crescente attenzione alla sostenibilità e all’ambiente. Intanto cresce l’acquisto di prodotti naturali ed ecologici. In più si riducono gli sprechi di cibo (facciamo meglio di tutto il Nord Europa) e cresce la racconta differenziata. Altra sorpresa è che metà degli italiani ha acquistato o venduto oggetti usati e molti di loro lo hanno fatto attraverso internet.

Centro benessere

Altro capitolo del cambiamento in atto è la ricerca della salute attraverso l’attività fisica. Che non significa fare sport in senso tradizionale, ma anche usare le scale al posto dell’ascensore, muoversi a piedi, fare le pulizie in casa a tempo di musica e pause in ufficio per muoversi. Il tema benessere ha infine una ricaduta evidente sull’alimentazione che, non solo per colpa della crisi economica, vede ridursi i consumi di carne e cereali. Una delle novità di fondo è che sulle tavole degli italiani c’è meno cibo. Se dal dopoguerra a fine secolo scorso le quantità erano progressivamente cresciute (sino ai 2,58 chili di consumo medio pro capite nel 2000), da allora è iniziata una discesa che per molti è sicuramente voluta, fino a 2,33 chili nel 2016. In un anno, dal 2015 al 2016, la carne fa meno 4,1 per cento, mentre il pesce cresce del 5,2, calano latticini e formaggi (meno 1,8) e crescono frutta fresca, (più 4,3) e verdura (più 0,9). Si confermano poi le tendenze di cui abbiamo più volte parlato: l'aumento del consumo dei prodotti biologici (più 21% nel 2016) e di prodotti salutistici. Ultima citazione per i cibi e le cucine etniche che gli italiani stanno scoprendo e hanno voglia di sperimentare, anche nei consumi casalinghi.

 

Al passo coi tempi[
Dal prodotto a marchio ai negozi la parola d’ordine è innovazione. Ci spiega come Marco Pedroni, presidente di Coop Italia.

«Il nostro rapporto 2016 fotografa un paese che, pur di fronte a una crisi economica che non può certo dirsi superata, vuol cambiare e sta maturando scelte innovative pur tra tante difficoltà. E noi – spiega il presidente di Coop Italia, Marco Pedroni – proprio all’insieme di questo paese vogliamo parlare e dare risposte, vogliamo far sentire che non rinunciamo ai nostri valori di fondo, in quel mix fatto di difesa del potere d’acquisto delle famiglie e attenzione alla qualità, alla tutela dei diritti e dell’ambiente. Questi valori di fondo sono anche la base su cui innestare azioni di innovazione e cambiamento per essere in sintonia con gli italiani, come deve fare una catena come Coop che ha oltre 8 milioni di soci ed è leader in Italia col 14,7 per cento delle quote di mercato».
Partiamo da quanto ha fatto Coop in questi ultimi mesi.
«La spesa per i beni di largo consumo è ferma al palo, c’è un paese sempre più polarizzato, serve più equità e un riequilibrio nei redditi per rilanciare l’economia. In questo contesto le nostre vendite a valore sono sostanzialmente stabili. Nel 2015 la nostra scelta è stata di investire sulla convenienza, cosa che ci ha permesso di aumentare i pezzi venduti. Ciò significa che abbiamo venduto di più riducendo, però, i margini economici. Ovvero abbiamo difeso il potere d’acquisto delle famiglie e su questo intendiamo continuaintervista re a lavorare. È il nostro modo di essere. La vera sfida, però, è innovare nei prodotti e nei negozi, non stare fermi».

Parliamo di quest’innovazione. Su cosa intende puntare Coop?
«Su questa rivista avete già parlato più volte di quanto stiamo facendo sul prodotto a marchio, che è il cuore della nostra offerta, perché è la sintesi migliore dei nostri valori e del nostro modo di essere. Prodotto a marchio Coop oggi significa 4mila referenze e un fatturato di 3 miliardi di euro per un’incidenza pari al 27 per cento a valore e al 32 per cento a quantità sull’insieme delle nostre vendite. E sul prodotto a marchio stiamo introducendo nuove linee. Quella sui prodotti per gli animali domestici che si chiama Amici speciali, poi c’è Origine concentrata su filiere alimentari, dal latte al pomodoro, in cui vogliamo e possiamo dare ai consumatori assolute garanzie di qualità, sicurezza e trasparenza. Altre novità sono in fase di definizione e riguarderanno una linea di prodotti per la cura della persona; poi ci sarà una linea di prodotti per la casa. Insomma continuiamo a innovare perché abbiamo l’ambizione, da qui al 2019, di far crescere ulteriormente il prodotto a marchio e di arricchire l’assortimento con altre 400 referenze. Ma soprattutto vogliamo rispondere alle nuove domande di salute, benessere e vivere bene che le famiglie stanno facendo emergere».

E sul rinnovo della rete di vendita?
«Nell’ultimo anno Coop ha investito 650 milioni di euro per rinnovare punti di vendita esistenti o per aprirne dei nuovi. In anni complicati come questi, in cui gli investimenti in Italia sono merce rara, mi pare un dato importante, anche considerando che sono investimenti avvenuti anche nelle regioni del Sud. Ma certo non intendiamo fermarci. Siamo reduci dal grande successo di Expo, nel corso del quale il nostro Supermercato del futuro è stato visitato da milioni di persone che hanno apprezzato e commentato le idee che lì abbiamo proposto. Noi pensiamo che i negozi del futuro debbano sempre più essere luoghi sociali, delle piazze aperte. Con questo spirito stiamo lavorando per trasferire le innovazioni nella nostra rete».