La percentuale dei punti inquinati, secondo l’ultimo rapporto Ispra, cresce: +20 per cento nelle acque superficiali, +10 per cento in quelle sotterranee. E sono state rinvenute ben 224 sostanze diverse (erano 175 nel 2012): fino a 48 in un singolo campione. E la tossicità di una miscela è sempre più alta di quella dei singoli componenti. Però la cosa più inquietante è che, sebbene il rapporto venga costruito sulla base dei dati forniti dalle regioni, la copertura del territorio non è completa né omogenea, soprattutto per quanto riguarda le regioni centro-meridionali: non si dispone affatto di informazioni per il Molise e la Calabria e mancano i dati relativi a 5 regioni per quanto riguarda le acque sotterranee. In un paese moderno ciò non dovrebbe neppure essere tollerato.
Ma cosa inquina le acque con cui irrighiamo i nostri campi o che beviamo? Nelle acque superficiali, il glifosato è tra le sostanze che superano più spesso i limiti. Si tratta di una sostanza dannosa per la salute secondo l’Unione europea, ma curiosamente scagionata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità solo qualche settimana fa. Il problema è, più in generale, quello dei pesticidi: sono circa 130mila le tonnellate di prodotti fitosanitari utilizzate ogni anno in Italia. Ad essi si aggiungono i biocidi, impiegati in tanti settori di attività, di cui non si hanno informazioni precise sulle quantità e sulla distribuzione geografica delle sorgenti di rilascio. Diffusa è anche la presenza dei neonicotinoidi nelle acque superficiali e in quelle sotterranee: la classe di insetticidi più utilizzata a livello mondiale e largamente impiegata anche in Italia e uno dei principali responsabili della perdita di biodiversità e della moria di api. In sintesi gli erbicidi sono ancora le sostanze più rinvenute, soprattutto a causa dell’utilizzo diretto sul suolo, spesso concomitante con i periodi di maggiore piovosità d’inizio primavera, che ne determinano un trasporto più rapido nelle acque.
Rispetto al passato è aumentata notevolmente la presenza di fungicidi e insetticidi, soprattutto perché è aumentato il numero di sostanze cercate e la loro scelta è più mirata agli usi sul territorio. Il risultato complessivo indica un’ampia diffusione della contaminazione, maggiore nelle acque di superficie, ma elevata anche in quelle sotterranee, con pesticidi presenti anche nelle falde profonde naturalmente protette da strati geologici poco permeabili. In sintesi le acque dolci italiane sono più malmesse di quello che potevamo sperare e le sostanze utilizzate in agricoltura sono tra i principali fattori di inquinamento. Tutto questo quando l’agricoltura biologica, che fa a meno di questi prodotti, oltre a essere ecosostenibile, è sempre più popolare e prescelta dai consumatori, in grado di permettere maggiori redditi e generare più occupazione.
A chi conviene continuare a coltivare in un modo vecchio e dannoso per la salute e per l’ambiente?