Carne al fuoco

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25 Settembre 2017
La novità della carne sintetica che per entrare nell’uso dovrà confrontarsi con la cultura tradizionale
di Massimo Montanari

La storia dell’alimentazione ha attraversato fasi di cambiamento a volte decisive. La rivoluzione neolitica, con la nascita dell’agricoltura, cambiò il modo di approvvigionarsi e l’idea stessa di “risorsa”, non più legata all’arte di raccogliere, bensì di produrre. In età antica e nel Medioevo molte piante orientali furono acclimatate in Occidente, dagli agrumi allo zucchero, dal riso alle melanzane. Dopo il viaggio di Colombo, dall’America giunsero pomodori, mais, patate, peperoni, cacao e altre esotiche novità, mentre gli europei esportavano zucchero, caffè, grano, olivi e tutto un patrimonio zootecnico (buoi, cavalli, maiali, pecore) ignoto agli indigeni del Nuovo Mondo.
Ora ci spiegano che nuove risorse arriveranno dall’industria chimica.
Estraendo proteine e grassi da prodotti già esistenti, come il grano e le patate, l’olio di cocco e la soia, e aggiungendovi vitamine, emulsionanti e ingredienti di elaborazione sintetica, un’azienda californiana dal nome provocatorio Impossible food (“cibo impossibile”) ha realizzato in laboratorio una sostanza simile alla carne, assemblata per ora in forma di hamburger, domani chissà. Un vago senso di disorientamento ci pervade, la paura dell’ignoto ci assale. Lo storico non può non chiedersi quali effetti ne deriverebbero alla nostra cultura alimentare. Essenziale sarà il giudizio del palato: mangiare è pur sempre un affare di gusto e nessuno ci potrà convincere ad adottare un cibo dal sapore estraneo solo perché “corretto” sul piano nutrizionale. Pensiamo ai progetti che mezzo secolo fa promettevano un futuro senza più cibo da preparare, perché una pillola avrebbe pensato a tutto: buono forse per gli astronauti, questo cibo non-cibo un futuro non l’ha avuto.

Al netto del giudizio sensoriale, la carne sintetica potrà entrare nell’uso?
Con qualche cautela, lo storico risponde di sì, anche perché potrebbe risolvere gli smisurati problemi ambientali posti dall’eccessivo consumo di carne di una popolazione in crescita. Sono comunque prevedibili strategie di adattamento, come quelle che nei secoli hanno accompagnato l’introduzione di nuovi prodotti. Il mais americano entrò nell’uso europeo sotto forma di polenta, cibo tradizionale che prima si faceva con altri cereali; il pomodoro fu accettato solo a patto di trasformarsi in salsa (un genere gastronomico di consolidata tradizione) prima di apparire nudo e crudo in insalata; con la patata si cercò di fare il pane, prima di scoprire usi più convincenti; il peperoncino surrogò le spezie nella cucina contadina; il cacao fu addolcito per rispondere meglio al gusto degli aristocratici.

Ogni novità, per affermarsi veramente, ha sempre dovuto confrontarsi con la cultura tradizionale. Lo stesso presumibilmente accadrà alla carne sintetica, se decideremo che ne vale la pena.

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