Ben d'Africa

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4 Aprile 2022
I racconti di chi segue in prima persona due dei progetti legati a Basta un gesto in Togo e in Burkina Faso.

Articolo pubblicato su NuovoConsumo del mese di aprile 2022

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Isidore è rientrato da Lomé qualche settimana fa. È giunto in Italia, ancora ragazzo, per studiare da geometra, poi in Togo è tornato e torna periodicamente perché dal 2008 è referente del Movimento Shalom nella sua terra di origine.

Segue dal 2012 il progetto di Unicoop Tirreno coopxtogoxvanda, il centro di formazione cooperativa sorto a 300 metri dall’Oceano.

Parlare con Isidore Amavi è come affrontare un fiume in piena:

«Oggi 23 persone vivono del lavoro creato all’interno del centro che sopravvive grazie all’operato di 10 ragazzi che dal nulla sono diventati panificatori». Causa Covid, l’osteria e l’albergo del centro hanno subito un arresto, ma è la parola “sfida” che ripete più volte Isidore: «Abbiamo acquistato 2 ettari di terreno per la coltivazione di prodotti tropicali che le aziende italiane potranno acquistare. Una sfida sarà anche quella di mettere in pratica la tecnologia alimentare, dalla conservazione del latte alla trasformazione dei prodotti agricoli. Puntiamo molto sulla scuola: 27 bambini, adottati a distanza, possono proseguire gli studi fino al liceo e vorremmo coinvolgere anche i “ragazzi della spiaggia” così chiamati perché lì vivono senza famiglia. Personalmente ritengo che il mio dovere è “formare gente per formare gente” e in questo il sostegno dei soci Coop è fondamentale».

Attraverso il deserto

Lia Burgalassi è la referente di Unicoop Tirreno per il Progetto Matteo, che segue insieme a Walter Ulivieri, referente del Movimento Shalom. «L’ultimo viaggio a Gorom Gorom in Burkina Faso – racconta – è stato nel 2019, poi le condizioni di sicurezza non ce l’hanno più permesso». Attorno a Casa Matteo, dove sono stati realizzati un orfanatrofio, un’infermeria, una sala parto e 4 pozzi d’acqua, c’è il deserto e una terra colpita dalle epidemie e dai colpi di stato, gruppi di banditi che sparano, circa 2 milioni di profughi interni che lasciano i villaggi andando incontro al nulla.

A Casa Matteo resistono 3 suore, sole contro tutto, rischiando la vita ogni giorno. «Vengono accolte soprattutto donne in gravidanza che, se sopravvivono al parto, spesso lasciano nella struttura i loro neonati – prosegue Lia –. Adesso ne sono ospitati 24, tra lattanti e più grandicelli di 3-4 anni». Il loro futuro? Essere reinseriti nei clan familiari, essere adottati oppure essere accolti in strutture che possano garantirgli almeno la scuola. Per adesso, è già difficile procurare loro il cibo, perché a Gorom Gorom scarseggia anche quello. 

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