Tutti lo chiamano così, ma forse non tutti sanno che la denominazione pesce azzurro non si riferisce a un gruppo di specie ittiche scientificamente definito, ma è utilizzata in maniera generica per indicare alcune varietà, di solito di piccola pezzatura e con un colore tendente al blu o all’azzurro nella parte dorsale del corpo e all’argento in quella ventrale. Tra le specie di pesce azzurro più comuni sgombro, sardina, alice (o acciuga), aguglia, sugarello, palamita e pesce sciabola.
Sano come un pesce
Altroché alimento povero, altra convinzione sbagliata su questo pesce. Quello azzurro ha particolari qualità organolettiche, prima tra tutte il sapore, ma anche nut r i z iona l i . Proteine di alto valore biologico e i cosiddetti “amici del cuore”, i grassi polinsaturi (in particolare gli omega 3), ne rappresentano le caratteristiche più preziose da questo punto di vista. Insomma “vivi sano, mangia pesce”, come dicevano le nostre nonne, e avevano ragione. Ma non per il fosforo. Molte ricerche hanno dimostrato che il consumo regolare di pesce, almeno una volta alla settimana (meglio se 2/3), aiuta lo sviluppo neuropsicologico fin dalla gravidanza e riduce il rischio di deterioramento cognitivo legato all’avanzare dell’età. Responsabili di questo effetto protettivo sarebbero gli acidi grassi polinsaturi, di cui è ricco proprio il pesce azzurro. In particolare, gli acidi grassi del pesce EPA e DHA sono molto utili anche per la vista e la salute cardiovascolare. Meno utile, invece, il contributo supplementare sotto forma di integratori, che deve valutare un professionista sanitario.
Cotto e mangiato
Altra caratteristica tutt’altro che secondaria del pesce azzurro è la sua grande versatilità per cotture semplici e immediate, tanto per sfatare il mito che per cucinare il pesce ci vuole tempo e pazienza. Veniamo alla sicurezza. Si è sentito molto parlare negli ultimi anni, anche per l’usanza sempre più diffusa di consumare pesce crudo, del pericolo Anisakis, un parassita che può essere contenuto anche nel pesce azzurro. Prima di tutto è importante chiarire che aceto e limone sono utili solo a rendere il pesce più gustoso, ma non riducono il rischio, così come non sono sufficienti l’affumicatura e la marinatura. Il rischio si annulla, infatti, solo cuocendo il pesce per 10 minuti a 60°C oppure congelandolo a -20°C per almeno 24 ore.
Bene a sapersi.
Secondo i dati Fao, il consumo di prodotti ittici in Italia è di 25,9 kg pro capite all’anno, a fronte di una media europea di circa 23 kg. Portogallo in testa alla classifica con circa 57 kg.
A disposizione
Ce ne sono tanti, ma il consumo si concentra su pochi. Che pesci prendere?
Cresce il consumo di pesce in Italia; la gran parte dei prodotti ittici consumati è di origine selvatica e 1/4 di allevamento, anche se l’acquacoltura è in costante aumento. Nota dolente: anche se esistono oltre 20 specie di prodotti ittici ampiamente disponibili, quasi la metà del consumo si concentra solo su pochissimi: tonno, merluzzo, salmone, aringhe e cozze. Ricordiamo che il pesce azzurro, proprio perché nostrano, abbonda sui banchi ittici italiani ed è molto più a buon mercato rispetto agli altri. Non per questo, però, va considerato meno prelibato o importante per una dieta equilibrata.