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4 Maggio 2018
Il formaggio italiano più diffuso nel mondo, con consumi in costante crescita, il più presente sulla tavola degli italiani tra quelli freschi, dappertutto sinonimo di genuinità. Specialità tradizionale garantita per l’Unione Europea, la mozzarella made in Italy, buona, nutriente, leggera. E sotto controllo.
di Aldo Bassoni

Chi la vuole cotta, chi la vuole cruda, comunque uno dei formaggi identitari della tradizione casearia italiana insieme al parmigiano, al grana, all’asiago e a tanti altri prodotti della nostra ricca produzione nazionale. Sulla tavola interpreta spesso il ruolo di protagonista e anche se oggi viene prodotta in molte parti del mondo, quella made in Italy è il punto di riferimento indiscusso per qualità, sapore e tipicità. La mozzarella è anche l’unico formaggio italiano a cui l’Unione Europea ha concesso la Stg (Specialità tradizionale garantita) e uno dei 7 prodotti caseari europei ad avere ottenuto questo riconoscimento. Per poter vendere la propria mozzarella con il logo Stg le aziende produttrici devono realizzarla secondo la “ricetta” e il metodo depositati a Bruxelles e nelle forme consentite, ossia tonda, a treccia o sferica.

Mozza...fiato
Secondo i dati di Assolatte, la mozzarella è il formaggio fresco più consumato in Italia sia per volumi di vendita che per fatturato, al primo posto nel carrello della spesa rappresentando circa il 15% delle vendite complessive di formaggi per una spesa totale che sfiora 1 miliardo di euro. Insieme a quella di bufala, supera il 20% di tutti i formaggi comprati dagli italiani nella Grande Distribuzione per un controvalore di 1,4 miliardi di euro. Ma c’è di più: la mozzarella è il formaggio italiano più diffuso nel mondo, sinonimo di qualità e genuinità. I consumi di mozzarella sono in continua crescita dappertutto e superano ormai le 50mila tonnellate annue in gran parte dei paesi europei (Germania, Francia, Regno Unito e Spagna), ma fa la sua figura anche in Brasile, Argentina, Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda e Corea del Sud. E se il 95% degli italiani consuma almeno 1 volta al mese una mozzarella, l’Italia è solo al terzo posto nel mondo per consumi pro capite, superata da Stati Uniti e Brasile, autentici divoratori di mozzarelle. Secondo il professor Ottavio Salvadori Del Prato, autore di un fondamentale Trattato di tecnologia casearia (Tecniche Nuove), l’origine della mozzarella deriverebbe «dall’esigenza di trasformare latte in cattive condizioni di conservazione. Attraverso la filatura a caldo, infatti, si ridurrebbe l’acidità. La filatura è la proprietà in virtù della quale una piccola quantità di cagliata, portata ad elevata temperatura, diventa plastica e può essere tirata in filamenti continui di lunghezza superiore al metro». Facile indovinare che il termine stesso mozzarella ha a che fare proprio con la pratica di “mozzare” la matassa di pasta filata a mano per ottenere le varie forme caratteristiche della mozzarella.

Usi e consumi
Buona e nutriente, si abbina a molti ingredienti della nostra ricca tradizione culinaria. La mozzarella è tra i formaggi meno grassi presenti in commercio; escludendo la burrata e quella di bufala (più grasse, quindi caloriche), le mozzarelle vaccine apportano mediamente dalle 250 alle 290 kcal per 100 grammi di parte edibile. «Sostanzialmente fra un latticino qualunque e la mozzarella cambia la percentuale d’acqua ed è per questo motivo che in proporzione la mozzarella ha meno grassi – spiega Ersilia Troiano, presidente dell’Associazione italiana dietisti –. La porzione di consumo media è molto più elevata per cui, se si inserisce in un regime alimentare ipocalorico, bisogna fare attenzione alle porzioni: è ovvio che tra 100 grammi di mozzarella e 50 di formaggio stagionato si preferisce la mozzarella». Tra bufala e vaccina ci sono solo minime differenze di tipologia di acidi grassi, ma fondamentalmente la differenza è organolettica. «La mozzarella si mangia spesso in abbinamento al prosciutto o come antipasto; l’errore che si fa è di non considerarla un secondo piatto a tutti gli effetti – prosegue Troiano –. Se la mangi con la pizza stai mangiando un piatto unico. Anche la caprese è un secondo piatto a tutti gli effetti. Ma se la utilizziamo in una dieta ipocalorica, attenzione a non condirla perché, essendo un alimento, ha le sue proteine e i suoi grassi. Adatta anche ai bambini per calcio e proteine di alto valore biologico». Intanto continua la moda delle mozzarelle light. Però recenti studi scientifici dimostrano che sui prodotti light in generale c’è l’alterata percezione che, essendo meno grassi, se ne possa mangiare di più. Ma siccome meno del 20-30% di grassi non c’è e alla fine, se ne mangi un po’ di più, il conto calorico si pareggia. E poi volete mettere il sapore di una buona mozzarella di bufala dop?

Sotto controllo
E allora? «Allora meglio sapere che cosa si mangia e scegliere di conseguenza, facendo semmai attenzione alle dosi. Stesso discorso a proposito delle mozzarelle prive di caseina. È una follia pensare che sia dannosa. Se tu scegli un alimento, lo conosci e lo mangi così com’è, non devi cercare la variante “senza”. Sulla mozzarella vegana, invece, stenderei un velo pietoso – sentenzia Troiano –. Il punto è che se fai una scelta poi non devi andare alla ricerca ossessiva dell’equivalente, perché allora tanto vale che opti per l’alternativa vegetariana e ti mangi la mozzarella». L’importante, però, è che sia genuina. Per questo siamo di fronte a uno dei prodotti più controllati dai Nuclei antisofisticazioni. Numerosi gli scandali in cui è stata coinvolta negli ultimi anni la mozzarella. Un anno fa venne scoperta una vera e propria filiera illegale per mettere in commercio mozzarella di bufala con marchio Dop, prodotta però con latte adulterato. L’inchiesta della procura di Santa Maria Capua Vetere colpì allevatori, rivenditori di latte e titolari di caseifici nel Casertano che, per produrre mozzarella di bufala, utilizzavano latte di mucca avariato e trattato con soda caustica per coprire l’acidità. Una truffa, una frode, e un attentato criminale alla salute dei consumatori come purtroppo avvengono non di rado ad opera di aziende senza scrupoli. E chi non ricorda le mozzarelle tedesche che appena aperte diventavano blu? In quel caso era facile accorgersi che qualcosa non andava. Ma anche una mozzarella supercandida può essere taroccata, ad esempio, usando il gesso come sbiancante. Secondo la legge, per chiamarsi tale, la mozzarella di bufala deve contenere almeno il 50% di latte di bufala, ma i Nas hanno scoperto mozzarelle di bufala fatte con latte comune in polvere, oppure con latte di mucca sbiancato con calce e soda e proveniente dalla Colombia o dalla Bolivia, dove costa circa 50 centesimi al chilo contro gli 1,35 euro di quello campano. «Stiamo lavorando alle modifiche del disciplinare per la mozzarella di bufala così da renderlo più rigoroso e attento ai consumatori», assicura il direttore del Consorzio di Tutela Pier Maria Saccani nel precisare che le aziende saranno obbligate a utilizzare solo latte Dop. E allora avanti con la mozzarella, che sia di bufala o vaccina, purché fresca e di qualità.

Modalità di conservazione: c’è chi consiglia di tenere la mozzarella a temperatura ambiente nella sua acqua di governo per mantenerne intatte le caratteristiche organolettiche. Però, è un prodotto deperibile e quindi, per evitare che diventi una colonia di batteri, è meglio metterla in frigorifero. Chi vuole tutelare entrambi gli aspetti, sapore e salubrità, può tenerla in frigo nella sua acqua e toglierla una mezzoretta prima di consumarla.

Alla provatura dei fatti
L’antica provatura, oggi mozzarella. Ma nasce prima quella di bufala o da latte vaccino? La parola allo storico.

La storia della mozzarella è strettamente legata all’allevamento della bufala che venne introdotta in Italia dai longobardi. «Quando Alboino valica le Alpi e si insedia nel nord della penisola, porta con sé dalla Pannonia, una regione umida e paludosa dell’attuale Ungheria, questo animale – spiega lo storico della gastronomia Giovanni Serritelli – che inizialmente viene utilizzato come bestia da lavoro e per trainare le chiatte lungo i fiumi navigabili. Il punto di svolta – prosegue Serritelli – si ha nel 774, quando il re Desiderio viene sconfitto da Carlo Magno costringendo i Longobardi a ripiegare dalla Pianura Padana verso i territori protetti dal Papa per arrivare poi in Campania dove fondano due principati a Capua e a Salerno». Ed è qui che finalmente le bufale trovano un ambiente paludoso ed erbe adatte allo sviluppo del loro latte. Ma non è ancora arrivato il momento della mozzarella come noi la conosciamo. Stiamo parlando di un prodotto caseario simile alla mozzarella che si chiama provatura, cioè un formaggio allungato e leggermente stagionato da utilizzare prevalentemente in cucina. A questo punto è difficile stabilire se la mozzarella nasce prima come derivato del latte vaccino o di quello di bufala. C’è un certa confusione in merito. Così come è poco chiaro il ruolo che ebbero i monaci che migrarono dall’abbazia di Castel San Vincenzo al Volturno, in Molise, alla fortezza longobarda di Capua dove fondarono il monastero di San Lorenzo, nei pressi del luogo in cui più tardi sarebbe nata la città di Aversa, oggi famosa proprio per la produzione di mozzarella di bufala. «In realtà la produzione della mozzarella è documentata solo nel tardo Rinascimento. Ce ne parla Antonio Latini che fu cuoco presso i viceré spagnoli di Napoli, nella seconda metà del Seicento – racconta Serritelli –. Nella sua opera monumentale, Lo scalco alla moderna, Latini cita appunto questi tipi di provature e mozzarelle e in particolare parla del latte che veniva prodotto a Sorrento». Probabilmente si riferisce anche alle provature di mucche, però, parla anche di zone come Capua dove, invece, c’erano grandi allevamenti di bufale. Tale pratica si sviluppò su più vasta scala nel Seicento e nei secoli successivi, fino ad arrivare all’attuale grande produzione di mozzarella di bufala.

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