Cultura del cibo

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2018: anno del cibo italiano, per parlarne, promuoverlo, proteggerlo come patrimonio di saperi, di usi e costumi
di Massimo Montanari *

A settembre ho partecipato a una tavola rotonda con i ministri della Repubblica Dario Franceschini e Maurizio Martina e il fondatore di Slow Food Carlo Petrini. Tema: l’anno del cibo italiano, che i due ministri lanceranno nel 2018. Svolgimento: parlare di cibo – e promuoverlo e proteggerlo – in una prospettiva che non sia quella degli spadellatori televisivi, concentrati sulla ricetta e sulla composizione del piatto. La prospettiva vuole essere quella di pensare il cibo in modo più ampio, come un processo che inizia dalla terra e dalle sue risorse, prende corpo nei saperi e nelle pratiche che generazioni di donne e di uomini hanno trasmesso e infine si condivide attorno alla tavola. In una parola cultura, quella che ci consente di trasformare un covone di cereali in un cesto di pane o in una montagna di polenta, in una pizza croccante o in un groviglio di spaghetti pronti da condire. Quante scelte, quante conoscenze, quante esperienze dietro questi gesti. Quanta curiosità, quanto lavoro, quanta intelligenza nella selezione dei prodotti, nel decidere quale può servire e a che cosa. “Politiche agricole, alimentari e forestali” sono all’attenzione di Martina, mentre Franceschini si occupa di “beni e attività culturali e di turismo”.
Un turismo che è attratto anche dal patrimonio alimentare e gastronomico, che vive nei paesaggi del nostro paese, costruiti anche e soprattutto per rispondere al bisogno di cibo: il grano, la carne, il formaggio, l’olio, il vino, tutto ciò non nasce in un paesaggio, ma lo produce, gli dà forma e senso. Lo scempio a cui quei paesaggi sono talora sottoposti è un’offesa all’ambiente, ma prima ancora agli uomini e alla loro storia, alla cultura che nei secoli ha saputo trasformare il bisogno in piacere, la necessità in gusto. Parlare di cibo italiano e farne l’icona dell’anno che verrà, avrà un senso se sapremo allargare l’orizzonte e guardare al cibo in tutta la lunghezza del suo percorso. Sostenere l’agricoltura locale; impegnarci a conoscere (da “co-produttori”, ama ripetere Petrini) da dove vengono le cose che mangiamo, chi le ha prodotte, come, dove; maturare nuove forme di rispetto per la cultura contadina, troppo a lungo snobbata o denigrata. I poteri forti – le lobbies produttive e distributive – guarderanno altrove, ma l’idea di un’azione politica congiunta, su cui convergono i ministri dell’agricoltura e della cultura, è comunque una buona notizia.

*docente di storia medievale e storia dell’alimentazione Università di Bologna