Con la minima cura

  Aggiungi ai preferiti
6 Ottobre 2017
Aumentano i decessi e traballa l’aspettativa di vita su cui si regge la riforma pensionistica in Italia. Colpa della crisi, che ha prodotto un calo delle cure e dei consumi sanitari, e di una sanità pubblica sempre meno accessibile. Tutto appunto sulla pelle dei cittadini
di Aldo Bassoni

Per anni ci siamo cullati nell’illusione che, grazie ai prodigi della medicina, l’aspettativa di vita si avvicinasse progressivamente alla fatidica soglia dei 100 anni. Coltiviamo il sogno di un’esistenza sempre più lunga e in buona salute, se non per noi che abbiamo già oltrepassato abbondantemente il mezzo secolo, almeno per i nostri figli e nipoti. Perfino le ripetute riforme della previdenza, fino all’ultima pesantissima del 2011, giustificavano l’aumento dell’età pensionabile in rapporto al crescere della durata della vita media.

Nella speranza di…
Sulla base del meccanismo messo in moto dalla riforma, infatti, l’età minima per la pensione di vecchiaia dovrebbe aumentare dai 66 anni e 7 mesi, in vigore per tutte le categorie di lavoratori dal 2018, a 67 anni a partire dal 2019. In seguito la legge Fornero prevede che il requisito venga adeguato alla speranza di vita ogni 2 anni, e quindi si passerebbe a 67 anni e 3 mesi dal 2021. Per i successivi aggiornamenti, a partire dal 2023, si prevede un incremento di 2 mesi ogni volta. Ma c’è un problema: nel 2015 l’aspettativa di vita è calata, poi è tornata un pochino a salire nel 2016, e nel 2017 si teme un nuovo sensibile calo. Dunque, qualcosa si è inceppato nel trionfale incedere dell’uomo verso l’immortalità, alla faccia dell’intramontabile mito del signor Faust. A riportarci con i piedi per terra è Gian Carlo Blangiardo, professore di demografia all’Università degli Studi di Milano Bicocca che, sul finire dell’estate, ha posto all’attenzione dell’opinione pubblica il dato sconcertante dei decessi diffuso dall’Istat: 192mila nel primo trimestre di quest’anno, più di 700mila entro la fine dell’anno se la tendenza sarà confermata anche nei prossimi mesi. «Con una crescita del 2% persino rispetto al 2015 – avverte Blangiardo –, un anno che si era già distinto per una sorprendente impennata della mortalità». Un dato preoccupante che surclassa addirittura quello ultranegativo sulla natalità, calata di un altro 2,6% nei primi 3 mesi del 2017 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, confermando un saldo anch’esso negativo da troppi anni ormai. Ma questa è un’altra storia. 700mila decessi si sono avuti solo nel 1944, quando c’era la guerra e su più di mezza Italia cadevano bombe e proiettili di cannone. Un dato dunque che non può più essere considerato eccezionale.

Poveri vecchi
Qualcuno penserà che la mortalità aumenti per il semplice motivo che è strettamente correlata all’allungamento della vita. È vero. La popolazione è più vecchia e, a parità di rischio, una popolazione più vecchia produce inevitabilmente più morti. «Ma questa motivazione può spiegare solo poche migliaia di decessi in più rispetto all’anno precedente », secondo il professor Blangiardo. E, infatti, anche se i dati disponibili non permettono un’analisi precisa delle cause di così tanti decessi, l’invecchiamento della popolazione incide con un misero 3%, mentre qui si sta parlando di un incremento dei decessi di quasi il 15. E l’altro 12%? «A questo punto è lecito pensare che siamo in presenza di un peggioramento dei livelli di sopravvivenza della popolazione italiana, e soprattutto della sua componente più anziana e fragile», afferma Blangiardo. Che qualcosa non stesse andando secondo le previsioni si era cominciato a sospettarlo fin dal 2015 quando gli esperti furono letteralmente scioccati dalla pubblicazione di un rapporto dell’Istat che registrava un vistoso aumento dei decessi, un “picco” della mortalità, come venne definito sui media, che di tanto in tanto può succedere come la celebre eccezione che conferma la regola. Si pensò a un’annata particolarmente sfortunata, come per il vino. E poi l’anno prima c’era stata la solita querelle sui vaccini antinfluenzali che per qualcuno sono nocivi per altri salvano vite umane. Risultato: in molti non si vaccinarono e siccome la maggior parte dei decessi avvenne nei mesi invernali, quando l’influenza dilaga, fu facile tirare le conclusioni.
 

Stato di crisi
Ma gli analisti più attenti capirono subito che stava accadendo qualcosa di strutturalmente nuovo e preoccupante nel corpo vivo della popolazione italiana. Uno studio della Fondazione Banco Farmaceutico dimostrò che almeno 3,9 milioni di persone non potevano più permettersi cure adeguate anche per malattie importanti. In più, tra ticket, esami rinviati e chilometriche liste di attesa, le fasce più deboli di popolazione subivano le conseguenze di un Sistema Sanitario Nazionale sempre meno alla portata di tutti. E siccome la situazione economica e lo stato della sanità pubblica non sono affatto migliorati, se ne deduce che il peggioramento della salute degli italiani continua inesorabile e che questo provoca morti come in una guerra e di conseguenza rende pericolosamente traballanti le previsioni sull’aspettativa di vita, quel parametro in base al quale si è voluto disegnare la riforma del sistema previdenziale. «La crisi sociale ed economica ha prodotto una caduta dei consumi sanitari – dice Rosario Trefiletti, presidente dell’Istituto studi sul consumo (Iscom) –. E non si tratta solo di sprechi. Parliamo di consumi terapeutici e preventivi che toccano soprattutto la popolazione anziana, come ticket, liste di attesa, medicinali non più rimpiazzabili da esami privati». E allora ci si ammala di più o ci si cura di meno? «Probabilmente entrambe le cose – risponde Trefiletti – e quindi non c’è da stupirsi se l’aumento dell’aspettativa di vita segna il passo». Ovviamente non per tutti.

A miglior vita
I ricchi campano di più e meglio, al Sud si vive meno e peggio, e il più colpito sembra il ceto medio, anzi, l’ex ceto medio (vedi box a lato). Ed è per questa ragione sostanzialmente che sulla questione del collegamento automatico fra aspettativa di vita e requisiti pensionistici, il sindacato ci vuole vedere chiaro e il governo dovrà attendere che l’Istat renda noti ufficialmente i fattori demografici in base ai quali viene calcolata l’aspettativa di vita. Un valore medio che, ahimè, come ogni media, non tiene conto delle differenze territoriali e sociali che, invece, sono molto sensibili. Che fare di fronte a un tale scenario? Secondo Blangiardo, «affinché un cambiamento sia realisticamente configurabile sarebbe necessaria una strategia condivisa e tempestiva, capace di rimettere al centro la famiglia, sia come protagonista delle scelte legate all’essere genitori sia come rete di supporto ai membri fragili sul piano socioeconomico e sanitario». E poi ci sono le politiche del lavoro «per rimettere in piedi il principale diritto su cui si fonda la nostra Costituzione – dice Trefiletti – con politiche efficaci di redistribuzione dei redditi e di riduzione delle diseguaglianze sociali e territoriali». In ogni caso si tratta di mettere in moto processi profondi e di lunga durata di cui, però, ancora non si vede traccia. Come andrà a finire? È ovvio: chi vivrà vedrà.

Motivi di salute
Gli italiani e i problemi di salute che aumentano.

Crea Sanità, il Consorzio per la ricerca applicata in sanità, nel suo ultimo rapporto ha analizzato la popolazione over 75 affetta da patologie croniche. Nell’ultimo decennio è aumentata del 25%, mentre la quota delle persone in cattiva salute è salita del 45,7%. Il dato è confermato anche dal fatto che la percentuale degli italiani con problemi di salute over 75 è tuttora inferiore alla media europea ma, sempre nell’ultimo decennio, si è assistito a un allarmante processo di convergenza verso gli altri paesi. Se analizziamo sempre gli over 75 con problemi di salute, ma per quintile di reddito emerge che il 5° quintile (il più ricco) ha condizioni di salute molto migliori degli altri quintili; il 1° e 2° quintile (i più poveri) hanno “performance” migliori del 3° e 4° quintile. In altre parole la crisi ha colpito maggiormente il ceto medio la cui disaffezione verso il Servizio Sanitario Nazionale ha portato spesso all’uscita dalla sanità pubblica. Per quanto riguarda la famosa aspettativa di vita che la legge Fornero del 2011 vedeva nella sola prospettiva di crescita, secondo il Rapporto OsservaSalute, nel 2015 è scesa di 0,2 anni per gli uomini e 0,4 anni per le donne. Nel 2016 è tornata a salire. Non resta che attendere di vedere che cosa sta accadendo quest’anno.

Potrebbe interessarti anche